A cura dell'Avv. Paola Dameri (aggiornamento del 26 gennaio 2022)
La legge n. 54/2006 conosciuta ormai da tutti, addetti ai lavori e non, come la “Legge sull’affido condiviso” ha modificato sensibilmente l’approccio alla genitorialità,
introducendo per la prima volta il principio della bigenitorialità, ossia il principio che vuole fare intendere che il figlio dovrà mantenere un rapporto equilibrato e
continuativo con ciascun genitore.
Con l’affidamento condiviso è stato superato il concetto di potestà ed è stato introdotto quello più ampio di responsabilità genitoriale che ricade su entrambi i coniugi e/o
genitori; la finalità di questo principio è proprio quella che il minore mantenga un rapporto continuativo ed equilibrato con i suoi genitori, ottenendo
assistenza, educazione e attenzioni da parte di entrambi. Nell’affidamento condiviso è prevista cooperazione da parte di
entrambi i genitori per le attenzioni e le responsabilità primarie della prole.
Prima dell’introduzione della legge n. 54/2006, l’affidamento congiunto, nei confronti dell’affidamento esclusivo, era considerato esclusivamente un’opzione facoltativa che non veniva adottata molto di frequente, privilegiando sempre il principio dell’affido e della collocazione del minore presso l’uno o l’altro genitore.
Dall’introduzione nel 2006 ad oggi, l’affidamento condiviso è considerato la “regola”, sindacabile in via estrema, valutabile solo esclusivamente in presenza di
una specifica motivazione nel provvedimento giurisdizionale per stabilire l’affidamento esclusivo alla madre o al padre.
Una delle più note e conosciute differenze tra i due istituti (affido esclusivo e condiviso) sta nel fatto che con l’affidamento condiviso, in caso di contrasti tra i genitori,
anziché ricorrere all’affidamento esclusivo, si ha la possibilità di suddividere in parti uguali le responsabilità e la durata della presenza del figlio presso i singoli coniugi,
determinando una strada più facile da percorrere, sia per i genitori, sia per il minore che deve metabolizzare la fine della relazione fra i genitori (nella realtà il frazionamento del tempo fra
un genitore e l’altro non appare essere la via maggiormente condivisa da gran parte dei Tribunale italiani).
Altra questione è quella che vede i genitori dovere decidere con chi fare andare a vivere il minore e dove sarà collocata la sua residenza.
Di solito la scelta ricade sulla madre che viene considerata più idonea all’educazione del figlio e sempre a lei, conseguentemente, spetterà l’assegnazione della casa
familiare.
L’affidamento condiviso garantisce alla prole il diritto a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori e per rispettare questo presupposto, il giudice, in fase
decisionale (o i genitori stessi in base agli accordi assunti nella procedura consensuale), fissa la residenza del minore calcolando le modalità e i tempi di visita con il genitore non
collocatario, in modo da garantire anche a quest’ultimo l’adeguata presenza del figlio presso il proprio domicilio (anche se raramente questo tempo è suddiviso al 50% fra un genitore e l’altro).
Tali principi valgono bene anche per le coppie di fatto, vale a dire coloro che non sono legate dal vincolo del matrimonio: in Italia non esistono leggi che disciplinano la
separazione di conviventi, nonostante questo, la legge non ha trascurato l’affidamento dei figli se si dovesse presentare questa situazione; i figli naturali (cioè nati al di fuori di un legame
matrimoniale) sono equiparati ai figli legittimi e godono degli stessi diritti e delle stesse tutele.
Di conseguenza i genitori non sposati che decidono di separarsi, in mancanza di un accordo privato tra loro, si potranno rivolgere al tribunale ordinario ed ottenere un’ordinanza per gestire
l’affidamento del minore, le modalità e tempi delle visite, la collocazione ed il contributo di mantenimento.
Può capitare che verso un genitore si dimostri una carenza o inidoneità educativa tale da considerare l’affidamento condiviso una soluzione pregiudizievole e
contraria all’interesse del minore, in quel caso la strada alternativa da percorrere è solo quella dell’affidamento esclusivo.
L’affidamento esclusivo viene considerato un’eccezione e non la regola e deve essere particolarmente motivato, nel corso di approfondita istruttoria giudiziale,
meglio se anche attraverso una perizia medico –legale/ctu, dalla quale emergano chiaramente, ed in modo oggettivo, le inidoneità genitoriali presupposte.
Per esempio la circostanza che tra due genitori ci sia un’elevata litigiosità, non è sufficiente per ricorrere all’affidamento esclusivo, perché la modalità privilegiata in questi casi è
l’affidamento condiviso o eventualmente l’affidamento ai Servizi Territoriali tenuto conto che un affido esclusivo non farebbe altro che aumentare i conflitti tra genitori.
Ci possono sempre essere delle eccezioni in casi di grave conflittualità, l’importante è che la litigiosità si mantenga entro determinati limiti che possono
essere considerati tollerabili dalla prole e che non vadano a ledere i suoi interessi.
In caso di genitori con un rapporto particolarmente conflittuale, il Tribunale può proporre delle soluzioni alternative in modo che il rapporto tra i genitori stessi si possa
risanare (affido ai Servizi, percorsi di psicoterapia, laboratorio dei conflitti ecc.).
I casi nei quali è previsto l’affidamento esclusivo possono essere indicati in modo esemplificativo:
Considerazioni sull’applicazione della L. 54/2006 dall’introduzione ad oggi
Interessante appare svolgere alcune considerazioni sulla reale applicazione della L. 54/2006 dal momento della sua introduzione e nel decennio successivo. Da ricerche effettuate dall’ISTAT, si è
appurato come nel 2005 l’affido esclusivo dei figli alla madre fosse nella percentuale del 80,7 %, nel 2010 del 9%, nel 2011 dell’8,5, nel 2012 all’ 8,8%, nel 2013 al 7,7%, nel 2014 all’ 8,0% e
nel 2015 all’ 8,9%.
A distanza di quasi dieci anni dall’entrata in vigore della Legge 54/2006 è possibile verificare in che misura la sua introduzione abbia modificato alcune caratteristiche delle sentenze di
separazione emesse dai Tribunali.
Appare ovviamente sensibile la percentuale di affidi esclusivi materni dopo il 2006, mentre altri indicatori quali ad esempio l’assegnazione della casa coniugale alla moglie, il contributo di
mantenimento dal padre verso i figli, o l’ammontare medio per il mantenimento dei figli, sono rimasti presso che invariati.
Rapporto Nestola- Abo Loha del 2013
L’8 febbraio 2013, nel settimo anniversario dell’approvazione finale della Legge 54/2006, fu pubblicato un rapporto a cura di Fabio Nestola, (ricercatore e Presidente della Federazione Nazionale
per la Bigenitorialità), e di Yasmin Abo Loha (conciliatrice e mediatrice familiare da sempre impegnata in Associazioni a difesa dei bambini e degli adolescenti dallo sfruttamento sessuale)
“Il principio della bigenitorialità e la legge n. 54/2006: diritto del minore? Criticità dei criteri di applicazione”.
Questo documento diffondeva il primo (ed unico fino a quel momento) monitoraggio che si curava di definire numericamente i tempi di frequentazione genitori-figli, i domicili prevalenti, i
pernottamenti e l’incidenza dell’età dei minori nei provvedimenti giudiziali che riguardavano l’affidamento dei figli di genitori separati o divorziati. Questo studio raccoglieva un numero assai
rilevante di casi distribuiti su tutto il territorio nazionale, più di mille casi concreti.
La realtà che è emersa dallo studio Nestola-Albo Loha era quindi quella di una legge che a sette anni dall’entrata in vigore riproduceva ancora, in una netta maggioranza delle sentenze, prassi e
criteri pre riforma (la stessa distribuzione più applicata dei tempi di frequentazione, week end alternati e un pomeriggio in settimana, richiamando un progetto di visite tipico dell’affido
esclusivo). I casi analizzati derivavano dall’analisi di casi provenienti dagli archivi delle Associazioni “Crescere Insieme”, Adiantum e FeNBi, associazioni che in quel momento si battevano (ma
si battono ancora oggi) per una nuova riforma dell’affidamento condiviso.
Da recenti conferme si è appreso che i database di quelle associazioni raccogliessero principalmente un certo tipo di sentenze e che quindi le percentuali finali possano essere state fuorvianti
della realtà.
L’archivio De Jure
La Banca dati De Jure è un sistema di informazione giuridica online a cui possono accedere gli studenti dell’Università degli Studi di Milano e che viene spesso utilizzata per ulteriori indagini
dottrinali.
Sono state analizzate tutte le sentenze di merito collegate all’applicazione della L. 54/2006 a partire dalla fine del 2011, per verificare se le risultanze emerse dal rapporto Nestola-Abo Loha
si fossero riscontrate anche in sentenze successive al 2013. Sono state esaminate 127 sentenze, ma ne son state prese in considerazione solo 33, posto che le altre vertevano su tematiche
economiche che poco si conciliavano con gli aspetti relativi alla reale applicazione della riforma.
I risultati ottenuti dall’analisi hanno tendenzialmente confermato il rapporto Nestola-Abo Loha, ossia:
Pareri autorevoli
AIAF
L’associazione Italiana Avvocati di Famiglia dichiara che la l’affido condiviso è stato ampliamente applicato in questi anni, in una percentuale che sfiora il 90%.
L’associazione invece esprime preoccupazione in merito al fatto di introdurre un diritto “paritetico” dei genitori ad avere presso di sé i figli: la preoccupazione deriva dal fatto che
l’approvazione di norme rigide e sanzionatorie che non tengano in considerazione l’interesse del minore e non lascino spazio alla valutazione discrezionale del Giudice in relazione al singolo
caso, possono solo causare un aumento della conflittualità tra genitori e del contenzioso civile.
OUA (Organismo Unitario dell’Avvocatura)
Per l’Organismo la legge 54/2006 ha trovato applicazione ragionevole presso i Tribunali Italiani: l’affidamento condiviso è andato orientandosi come una necessità di condivisione degli obiettivi
di cura e crescita del minore.
La previsione che l’educazione dei figli deve essere una funzione assolta pariteticamente da entrambi i genitori non modifica e innova il quadro normativo già previsto.
La previsione di domicilio dei figli presso entrambi i genitori sembra inadeguata e non appare corrispondere alle esigenze di stabilità, rassicurazione psicologica anche in rapporto all’età del
minore: il “doppio domicilio” avrebbe solo ricadute destabilizzanti e di difficile organizzazione, oltre che produrre uno sdoppiamento della personalità: anche in questo caso si confonde la
“parità tra genitori” con “l’interesse del minore”.
Proff.ssa Gilda Ferrando (Dal settembre 2004 è professore ordinario di Diritto privato presso la Facoltà di Economia dell'Università di Genova. In precedenza è stata professore
associato di Istituzioni di diritto privato presso la Facoltà di Economia dell'Università di Genova, professore associato di Diritto di famiglia presso la Scuola di Specializzazione in Diritto
civile della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Camerino e professore associato di Istituzioni di diritto privato, presso la Facoltà di Economia e commercio dell'Università di
Bergamo.)
Affido condiviso non vuol dire eguale presenza del figlio presso entrambi i genitori, ma significa invece condivisione del rapporto personale e delle responsabilità genitoriali, esercizio della
potestà da parte di entrambi.
Se ogni singola decisione deve tener conto dell’interesse del bambino, allora l’interesse del bambino non può essere stabilito una volte per tutte, in astratto, dal legislatore, ma deve essere
stabilito di volta in volta dal Giudice. Essa richiede che il giudice tenga conto non di un concetto astratto, riferito ai minori come categoria, ma nel concreto interesse di QUEL bambino
studiato e disegnato a seconda della situazione, dell’età, della personalità del figlio. Del tipo di relazioni esistenti con i genitori (V. Cass. 18/5/2006 n. 11749 in Foro it. 2007, I, c.184).
Il diritto paritetico dei genitori sembra privilegiare i diritti degli adulti su quelli del bambino.
Conclusioni
Dall’analisi appena fatta è possibile trarre conclusioni che portano in un’unica direzione: non si può affermare con sicurezza che i tempi di frequentazione per i genitori non conviventi siano
esattamente quelli del rapporto Nestola-Abo Loha, ma in un numero rilevante di casi, la figura del genitore less involved non sia affatto valorizzata e che, quasi certamente, la realtà sia assai
lontana dalla distribuzione di tempi di frequentazione ritenuta migliore per i bambini dagli studi scientifici.
Inoltre anche autorevole dottrina è concorde su questa conclusioni fatte: infatti nonostante la previsione di affidamento condiviso, i provvedimenti giudiziali contengono, nella maggior parte dei
casi, la collocazione prevalente del figlio presso un genitore (la madre) nonostante la collocazione prevalente non sia contemplata nella legge 54/2006, e la conseguente previsione di un assegno
da versarsi dal genitore non convivente all’altro. Non maggiormente coerenti sono poi le previsioni relative al quantum dell’assegno.
Al riguardo vi sono state alcune proposte di riforma successive all’introduzione della L. 54/2006
Già due anni dopo l’introduzione della legge, il ddl 957 del luglio 2008, proponeva diverse innovazioni con l’inserimento al primo comma dell’art. 155 della locuzione “pariteticamente, salvi i
casi di impossibilità materiale” oltre ad altri inserimenti ad hoc.
In pratica il ddl 957 prevedeva: il domicilio dei minori presso entrambi i genitori, l’introduzione della “capacità di ciascun genitore di rispettare la figura e il ruolo dell’altro” come uno dei
criteri per la determinazione dei tempi e delle modalità di frequentazione dei figli, il rafforzamento dell’audizione del minore, l’introduzione dell’accordo fra i genitori come condizione
necessaria per gli eventuali cambiamenti di residenza dei figli (con decisione rimessa al giudice in caso di disaccordo), l’introduzione come inadempienza grave (che può portare all’esclusione
dell’affidamento) il comprovato condizionamento della volontà del minore.
Nei quattro anni successivi vi sono state altre proposte molto simili al ddl 957, e il ddl 3289 del maggio 2012, pur ricalcando le proposte del 2008, parlava di esclusione di un genitore
dall’affidamento quando “La comprovata e perdurante violenza, sia fisica che psicologica, nei confronti dei figli, in particolare la manipolazione di essi mirata al rifiuto dell’altro genitore al
suo allontanamento, comporta l’esclusione dall’affidamento. Le denunce consapevolmente false mosse al medesimo scopo comportano altresì l’esclusione dall’affidamento, ove non ricorrano gli
estremi per una sanzione più grave”.
Tutti questi ddl dal 2008 al 2012 non proseguirono l’iter parlamentare, rimanendo fermi in Commissione, anche a causa dell’imminente fine della Legislatura.
Il 10 aprile 2013 il Senatore Stucchi presentò il ddl 409 con la richiesta di modifiche al codice civile in tema di affidamento condiviso dei figli. Il progetto del Senatore Stucchi, formato da
un solo articolo, introduceva l’affidamento alternato come ipotesi prioritaria specificando che “durante i periodi di permanenza presso un genitore, l’altro genitore ha diritto di visitare il
minore e di mantenere rapporti con esso nei tempi determinati dal provvedimento del giudice o dall’accordo intervenuto fra le parti”.
Nel novembre 2013 venne introdotto un progetto che oltre ad ottenere una più equa assegnazione dei tempi di frequentazione, prevedeva un nuovo meccanismo di mediazione e modifiche al sistema
della CTU. Fra le proposte più interessanti vi era la richiesta di un tetto minimo del 33% del tempo di permanenza della prole presso il genitore meno coinvolto, la possibilità di frazionare in
due porzioni la casa familiare; in caso di difficoltà economica e casa gravata da mutuo, il giudice avrebbe potuto disporre, direttamente su istanza di una parte, che l’immobile fosse messo in
vendita e il ricavato diviso tra le parti.
Nel febbraio 2015 il ddl 1756 conteneva disposizioni su tutte le tematiche, mediazione compresa con tratti di originalità.
Il ddl 942 del 2018 a firma di Cataldi e Barbuto, modificando l'art. 45 c.c., mirava innanzitutto a realizzare il "vero" affido condiviso disponendo che "il minore, affidato a entrambi i genitori
e rimesso alle loro cure, è naturalmente e automaticamente domiciliato presso entrambi, a prescindere dalla residenza anagrafica, necessariamente unica". Viene eliminato l'obbligo per la coppia
di concordare la residenza abituale dei figli. Al momento della crisi, al massimo potrà essere concordata solo la residenza anagrafica.
Il ddl 782 introduce l'art. 316-ter c.c. che incrementa la tutela delle madri non coniugate, affermando che ad esse spetta "dal padre un contributo alle spese di parto, nonché un mantenimento
personale per i primi tre mesi dopo di esso, ove non in grado di provvedervi".
La ratio - in linea con la filosofia della legge Cirinnà relativa alle convivenze - è da cercare nello stretto legame della madre con il figlio che sta nascendo o è appena nato, per cui va intesa
essenzialmente come compresa tra i doveri del padre nei confronti del figlio.
La modifica dell'art. 337-ter mirava, invece, ad esprimere in modo più efficace "la priorità dell'opzione bigenitoriale", limitando l'ambito di applicazione dell'affidamento esclusivo (articolo
337-quater).
La proposta tendeva ad eliminare nello specifico il generico riferimento all'interesse del minore, evidenziando la scelta a favore di "due case", purchè ciò permetta di continuare ad avere
entrambi i genitori. Si tendeva a ridurre la conflittualità all'interno della coppia, "stabilendo che il giudice nel decidere le modalità della frequentazione (ad es., chi si sposta per
accompagnare i figli dall'altro) e nell'assegnare i compiti di cura a ciascun genitore deve tenere conto della propensione di ciascuno a rispettare l'altro, dando la preferenza, in nome
dell'interesse della prole, a quel «fairly parent», genitore corretto e leale, nel quale la giurisprudenza anglosassone già da tempo individua quello meglio in grado di allevare i figli".
La proposta prevedeva "la prescrizione a favore del mantenimento diretto, che doveva essere stabilito ogniqualvolta fosse chiesto, anche da un genitore solo, rimettendo al giudice la divisione
degli oneri economici, ove non concordata". Inoltre il ddl si proponeva l’obiettivo di mettere ordine anche alle norme riguardanti l'assegnazione della casa familiare, abrogando il comma 6
dell'art. 6 della Legge 898/1970, le cui prescrizioni sono in contraddizione con l'art. 337-sexies c.c.
Venne previsto, in sostanza, "implicitamente" che il problema dell'assegnazione della casa doveva porsi solo in via eccezionale, ovvero quando non si era potuto rispettare - per ragioni oggettive
come la distanza tra le abitazioni - il diritto indisponibile dei figli ad essere presenti in misura simile presso ciascuno dei genitori.
Il disegno di legge Pillon del 2018, certamente il più conosciuto e discusso degli ultimi anni, ha sollevato diverse perplessità ed acceso un dibattito suscitando non poche perplessità specie in
materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bi-genitorialità.
Dall’analisi del testo, era emerso il rischio che le tempistiche paritarie, già di per sé di dubbia realizzazione pratica, portassero ad uno “SBALLOTTAMENTO” dei figli da un genitore ad un altro,
con conseguenze fortemente pregiudizievoli per il minore.
Il testo del disegno di legge sembrava, infatti, mettere al centro l’interesse dei genitori e non quello del minore, che appariva essere considerato come oggetto di diritto di qualcuno e come un
bene di scambio.
Quanto al mantenimento diretto, lo stesso non poteva non apparire assai iniquo, infatti, nel caso di redditi sostanzialmente differenti tra i coniugi, non era prevista una corresponsione
perequativa a tutela del più debole, così come oggi avviene, ad esempio, per le spese straordinarie ripartite in percentuali diverse.
Anche la proposta di imposizione di una mediazione obbligatoria, addirittura come condizione di procedibilità, non avrebbe portato alcun beneficio né alle parti coinvolte, che anzi, si sarebbero
viste costrette ad affrontare ulteriori spese, né alla finalità deflattiva del contenzioso.
Probabilmente le intenzioni di chi ha proposto la riforma, pur partendo dal cercare di dare soluzione a problematiche effettivamente esistenti e che meritavano una soluzione, come l'alienazione
parentale, la povertà dei papà (dato triste ed inequivocabile in una copiosa casistica), la voglia di responsabilità dei genitori nell'educazione dei figli e nel trascorrere con loro più tempo
porta ad arrivare a norme slegate tra loro, disattendendo, soprattutto, il così detto best interests of the child, che rappresenta il principio informatore di tutta la normativa a tutela del
minore, garantendo che in tutte le decisioni che lo riguardano il giudice tenga in considerazione il suo superiore interesse.
Sta di fatto che ad oggi la piena bi-genitorialità è spesso mortificata dalla previsione di tempi di frequentazione sbilanciati, tant’è che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è più volte
intervenuta sanzionando il nostro Paese per non avere predisposto un sistema giuridico (e amministrativo) adeguato a tutelare il diritto inviolabile del genitore (nella specie e quasi sempre il
padre separato) di esercitare il naturale rapporto familiare col figlio – (si veda per esempio la Sentenza Corte Eur. Dir. Uomo, sez. II, 29 gennaio 2013 (Pres. Jočienė)
La proposta di legge Pillon ha ricevuto molte critiche da parte di numerosi esperti, dell'Ordine nazionale degli psicologi, nonché di molte associazioni che hanno rilevato come essa non tenesse
conto né della difficile situazione di molte madri separate né dell'interesse dei figli. Il ddl, Pillon non è stato approvato, ma ha ricevuto l'approvazione di associazioni di padri separati.
Commento iniziale
a cura dell'avv. Paola Dameri
Nella seduta notturna del 24 gennaio 2005, la commissione Giustizia del Senato ha approvato, in via definitiva, il provvedimento che modifica l’articolo 155 del codice civile, fissando dei criteri ai quali i Giudici devono attenersi nell’adozione dei provvedimenti relativi alla prole in fase di separazione fra genitori.
Le nuove norme stabiliscono che la scelta di affidamento ad entrambi i genitori diviene prioritaria e la potestà genitoriale deve essere esercitata congiuntamente, con l’intervento del giudice, in caso di disaccordo fra genitori.
La nuova legge sull’affido condiviso ha pertanto ritenuto che, in caso di separazione personale dei genitori, il figlio minore ha diritto a mantenere un rapporto stabile e continuativo con ciascun genitore, ricevendo da ognuno di loro cura, istruzione, educazione, conservando altresì rapporti significativi con i nonni e parenti di ogni genitore.
Sarà compito del Giudice della separazione adottare i provvedimenti relativi ai figli, tutelando l’interesse morale e materiale dei minori; preliminarmente valuterà se esiste la possibilità che i figli restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilirà a quale di essi gli stessi dovranno essere affidati, determinando peraltro i tempi e le modalità della loro presenza con ciascuno dei genitori, fissando anche la misura e il modo con cui ciascuno di essi dovrà contribuire al mantenimento, cura e istruzione della prole.
La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori che assumono, di comune accordo, le decisioni di maggiore interesse per la prole relative all’istruzione, educazione, scelte religiose, salute, tenendo pur sempre conto delle capacità e inclinazioni dei figli.
Solo in caso di disaccordo fra genitori, tutte queste decisioni saranno assunte dal Giudice.
Per quanto attiene al mantenimento dei figli, salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascun genitore provvede al mantenimento del figlio in misura proporzionale al proprio reddito; il Giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, che dovrà considerare alcuni fattori, quali: le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso l’abitazione di ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
Sarà compito pertanto di entrambi i genitori dimostrare le proprie risorse morali, umane ed economiche a favore del figlio.
Il Giudice potrebbe, però, ritenere l’affido condiviso non corrispondente alle esigenze di tutela del minore e ritenere quindi preferibile l’affido esclusivo ad uno solo dei genitori.
In ogni tempo comunque i genitori hanno diritto di chiedere la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e modalità del contributo.
Anche per quanto attiene alla casa familiare, il godimento è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse del minore. Il Giudice nell’assegnare la casa a l’uno o all’altro genitore, tiene in considerazione la regolazione dei rapporti economici fra genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà.
Il diritto al godimento della casa familiare verrà meno nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente in quella casa o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
Sia il provvedimento di assegnazione che quello di revoca sono trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643 codice civile.
Alla base della nuova legge sull’affido condiviso vi è sempre e solo la tutela dell’interesse del minore, criterio a fondamento della scelta fra affido condiviso ed esclusivo, valutazione che dovrà anche tenere conto della volontà del minore (anche attraverso l’ascolto dello stesso).
La nuova legge sull’affidamento dei minori tende a privilegiare l’affido ad entrambi i genitori, ma il Giudice deve altresì valutare se l’affido ad entrambi non sia in realtà nocivo al minore, ossia contrario al suo interesse.
In conclusione, l’interesse minorile deve essere considerato prevalente su quello del mondo adulto.
L’opzione tra affido condiviso ed esclusivo dipende quindi dalla giudiziale verifica della rispondenza dell’uno o dell’altro all’interesse del minore: la valutazione della rispondenza all’interesse del minore dell’affido condiviso dev’essere compiuta ponendo il medesimo minore al centro dell’attività istruttoria del giudicante, anche attraverso l’ascolto del minore stesso, previsto dal nuovo art. 155 sexies codice civile.
L’audizione è considerato strumento essenziale per la formazione del convincimento del Giudice, ma anche strumento di attuazione del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione, consentendo al giudicante di percepire, attraverso la voce del bambino, le esigenze di tutela dei suoi primari interessi.
Una percezione che può seguire percorsi complessi e non limitarsi all’ascolto del minore nel corso di una udienza istruttoria.
Il Giudice, in questa indagine, potrà avvalersi di tutti quei supporti che gli consentono un’effettiva percezione della volontà del minore, una volontà che non sempre traspare dalle parole o dai silenzi del bambino: mi riferisco alle consulenze tecniche psicologiche, opportunamente estese anche ai genitori in conflitto, ma anche all’attività degli operatori dei servizi sociali, sempre pronti a monitorare la situazione familiare del minore ed a costruire percorsi di sostegno indispensabili per addivenire ad una condivisione della genitorialità.
Ulteriore aspetto a tutela dell’interesse del minore riguarda l’abitazione della casa familiare nella regolazione dei rapporti economici fra i genitori.
L’assegnazione della casa familiare viene effettuata sempre a tutela dei figli e del loro interesse a non subire il trauma dell’allontanamento dall’immobile ove si è svolta la loro esistenza fino al momento della separazione tra i genitori.
Con il nuovo art. 155 quater c.c. il legislatore ha voluto riconoscere il beneficio economico dell’assegnazione della casa familiare nella determinazione del contributo dovuto per il mantenimento dei figli.
L’incidenza del provvedimento di assegnazione della casa familiare sui rapporti economici tra i genitori muta a seconda del titolo vantato sull’immobile, prima della crisi familiare, da parte dell’uno o dell’altro coniuge.
Qualora l’immobile sia detenuto in base a un contratto di locazione di cui risulti conduttore proprio il genitore a cui il Giudice abbia riconosciuto il diritto di abitare la casa familiare, nessuna modifica si produrrà sul rapporto contrattuale col locatore.
Viceversa, nel caso in cui la locazione stipulata dal genitore che, in caso di separazione, debba abbandonare l’abitazione in favore dell’assegnatario, quest’ultimo succede nel contratto e diviene il soggetto obbligato al pagamento del canone. Tale onere economico non può non essere preso in considerazione nella quantificazione del contributo di mantenimento dovuto in favore dei figli e, eventualmente, dall’un coniuge in favore dell’altro.
Si potrebbe parlare di una sorta di “indennità compensativa del mancato godimento della casa familiare” nelle ipotesi in cui, non potendosi procedere all’assegnazione, il coniuge affidatario debba comunque provvedere al reperimento di un alloggio.
Ma anche nel caso di immobile di proprietà dell’altro genitore, ovvero appartenente ad entrambi in comunione legale o ordinaria, il provvedimento di assegnazione, nella misura in cui garantisce il godimento esclusivo, attribuisce al beneficiario un vantaggio economicamente rilevante e, rispettivamente, comporta per il genitore escluso l’aggravio di sostenere oneri economici per soddisfare la propria esigenza abitativa.
I casi che possono presentarsi, in concreto, sono i seguenti:
a) immobile di proprietà esclusiva del genitore non assegnatario: l’importo del contributo di mantenimento, eventualmente dovuto dal coniuge proprietario in favore dell’altro coniuge e dei figli, dovrà tenere conto del sacrificio economico patito in conseguenza dell’impossibilità di utilizzare l’immobile per la durata dell’esigenze che ne ha comportato l’assegnazione.
b) immobile in comproprietà ordinaria o legale tra i coniugi.
In entrambi i casi, il Giudice dovrà tenere conto della coattiva sottrazione del godimento della casa familiare e della necessità di far fronte in altro modo al reperimento di un alloggio.
Purtroppo la nuova disciplina dell’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso presenta numerose ombre che avrebbero richiesto una maggiore attenzione.
Se è certamente condivisibile l’aver ribadito che, pur in presenza di una diversa modalità di affidamento, deve essere riconosciuto l’interesse dei figli a conservare la residenza nell’immobile ove si è svolta la vita familiare, il legislatore, tuttavia, ha introdotto elementi di ambiguità su aspetti fondamentali, demandando ancora una volta alla giurisprudenza il consolidamento e l’interpretazione sull’applicazione dell’istituto.
Si tornerà a discutere della possibilità di assegnazione della casa familiare come componente in natura del contributo di mantenimento in favore del coniuge debole; si rinnoverà la tesi che la mancata trascrizione del provvedimento di assegnazione comporti l’inopponibilità ai terzi; si riproporranno dubbi e contrasti che hanno caratterizzato la materia da decenni.
Si confida pertanto, in una prudente applicazione delle norme da parte dei giudici, applicazione che sappia rifuggire da preconcetti legati all’una o all’altra figura genitoriale e consenta invece di pervenire ad una giusta ed equa ricostruzione dell’istituto e da una corretta mediazione tra gli opposti interessi in conflitto, sempre volta alla tutela primaria dell’interesse del minore.
Vuoi confontarti con altre persone separate?
Scrivici
AAF - Associazione Aiuto Famiglia: dal 2005 creiamo armonia