BULLISMO: COME RICONOSCERLO E COME CONTRASTARLO

 

A cura della dott.ssa Alberti Pamela, psicologa


 

Ricordate il tredicenne rumeno a cui i compagni, di una scuola media di Civitavecchia, hanno lussato la spalla a forza di percosse?


In questo drammatico caso sono presenti tutte le caratteristiche di quel fenomeno che chiamiamo bullismo: intenzionalità, sistematicità e asimmetria di potere. Il bullismo è, infatti, definito come un sottotipo del comportamento aggressivo dove gli atti violenti sono commessi volontariamente, ripetutamente e dove, tra la vittima e il bullo esiste una differenza di potere. Tale differenza può essere dovuta alla forza fisica, al potere psicologico o alla numerosità dei soggetti coinvolti. Del resto non sono atti di bullismo solamente le aggressioni fisiche, i calci i pugni, le percosse, gli insulti, le minacce e il danneggiamento di oggetti personali; esiste una forma di bullismo indiretta, sottile, se possibile ancora più infima, con cui si esclude, emargina, isola la vittima, che è più frequentemente una femmina. Esistono, infatti, differenze di genere in tal senso: il bullismo diretto e verbale è più diffuso tra i maschi mentre le sue forme indirette trovano maggior popolarità tra le ragazze. Liti, discussioni, battibecchi sono normali tra bambini e ragazzi, rappresentano un’occasione di confronto e non sempre richiedono l’intervento degli adulti. Ciò che fa la differenza è LA GRAVITÀ e la FREQUENZA delle aggressioni.


In realtà, si tratta di un problema di cui tutti abbiamo ampiamente sentito parlare. La cronaca, purtroppo, ci informa quotidianamente di atti di questo tipo e le ricerche scientifiche sono ancora più allarmanti: sembra che il 41% dei bambini delle elementari e il 26% dei ragazzi delle medie subiscono stabilmente delle prepotenze (Costabile, 2000).


Per questo tutti gli adulti coinvolti, a vario titolo, nella formazione/educazione/ istruzione sono chiamati in causa. La scuola a volte sottovaluta problemi di questo tipo e, tra l’altro, c’è da dire che gli interventi sul caso singolo hanno un’efficacia limitata. Infatti, il bullo non è motivato al cambiamento poiché lui non vive le sue azioni come un problema. Tali azioni sono un problema per la vittima, gli insegnanti, per la scuola e l’ambiente circostante, ma non per il bullo. L’intervento diretto sulla vittima è utile per il benessere psicologico, per superare il trauma e per la qualità della vita della vittima stessa, ma non è efficace per la riduzione del fenomeno. Il bullo, infatti, non tarderà a cercare altri soggetti da prevaricare e il tutto si ripeterà. Molto più promettenti sembrano essere gli interventi di tipo preventivo, rivolti a tutti gli studenti di una classe o di una scuola con l’obiettivo di promuovere le loro competenze emotive, relazionali e sociali, cercando così di ridurre la probabilità di azioni bullistiche.


E i genitori che possono fare? In una parola, mamma e papà dovrebbero essere degli ATTENTI OSSERVATORI.


Ciò su cui dovrebbero vigilare è il cambiamento: il cambiamento di abitudini e le modificazioni del carattere (per esempio inizia a fare cose che non aveva mai fatto prima o che sono contrarie alla sua indole). Un cambiamento del tragitto che di solito nostro figlio compie da casa a scuola, un incupimento dell’umore quando si avvicina l’ora di andare a scuola, potrebbero essere dei campanelli di allarme.


Come possiamo capire se nostro figlio è stato preso di mira dai compagni?


Ecco, alcuni campanelli di allarme:


 bullet torna ripetutamente da scuola con graffi, lividi, abrasioni, ferite;

 

bullet torna con vestiti sgualciti, strappati o rovinati;

 

bullet ci accorgiamo che il suo materiale scolastico o altre cose che porta a scuola sono rovinate o rotte;

 

bullet spesso dichiara di aver perso i suoi oggetti personali o i soldi;

 

bullet chiede o sottrae denaro in famiglia;

 

bullet presenta disturbi psicosomatici (mal di testa, mal di pancia, enuresi notturna, incubi) che poi scompaiono nei periodi di vacanza;

 

bullet mostra resistenza e ansia nel momento in cui si deve uscire per andare a scuola;

 

bullet è più irritabile del solito;

 

bullet diventa taciturno, triste e, a volte, perde interesse per le attività che era solito fare;

 

bullet ha difficoltà a concentrarsi nelle attività scolastiche e nei compiti;

 

bullet non ha nessun amico a scuola o dichiara di averli ma poi non li vediamo mai insieme, non li invitano a casa né sono invitati da altri.

 

È chiaro che uno solo di questi indicatori o il fatto che uno di questi fatti capiti occasionalmente non assicura che il ragazzo o bambino sia soggetto a prevaricazioni e prepotenze. Se nostro figlio un giorno torna con i vestiti strappati può anche darsi che correndo in cortile, durante la ricreazione, sia scivolato. Questi indicatori possono però richiamare la nostra attenzione e portarci ad un’analisi più dettagliata della situazione.


D’altra parte sembra più complicato capire se il BULLO DELLA SITUAZIONE sia proprio nostro figlio. Anche in questo caso esistono degli indicatori che possono farci sospettare che il ragazzo in questione sia autore di prepotenze.


 bullet Ha una disponibilità economica maggiore di quello che consentirebbero i soldi che danno i genitori;

 

bullet torna con oggetti, giochi, materiali che non sono suoi;

 

bullet sono oppositivi e insolenti nei confronti di insegnanti e genitori;

 

bullet ci accorgiamo che possiedono coltelli o altre armi;

 

bullet in età precoce rispetto ai compagni iniziano a compiere atti antisociali come piccoli furti o atti vandalici, a bere bevande alcoliche o a fare uso di sostanze stupefacenti.

 

La scuola può mettere in atto diverse strategie per cercare di contrastare il fenomeno del bullismo, dalla semplice supervisione durante l’intervallo e la mensa, alla riorganizzazione degli spazi ricreativi. Inoltre, a seconda del grado della scuola si potranno organizzare dei veri e propri programmi di intervento comprendenti diverse attività sia curriculari sia extra curriculari. Sembra che sia i bulli sia le vittime siano accomunati dalla scarsa comprensione delle emozioni proprie e altrui e, in particolare i bulli, da un basso livello di empatia. Dunque, lavorare su questo aspetto, cercando di promuovere l’empatia e di sviluppare la comprensione e la regolazione emotiva può giovare sia agli uni sia agli altri, avendo come obiettivo finale la riduzione del bullismo. Così come risulta particolarmente utile sviluppare un sistema di regole di classe condivise.


Del resto, la vera prevenzione inizia in famiglia. La letteratura mostra che alcuni stili educativi costituiscano dei fattori di rischio per il bullismo. Sia lo stile permissivo sia quello autoritario, così come quello iperprotettivo, non promuovono l’autonomia di pensiero e la comprensione delle regole. Lo stile genitoriale migliore è sicuramente quello autorevole, attraverso cui si forniscono regole chiare. Tali norme di comportamento sono seguite da spiegazioni e non solo imposte dall’alto senza fornire nessun chiarimento. Si danno così regole chiare e adeguate all’età, alla capacità di comprensione e alle caratteristiche individuali del figlio. Questi genitori, chiedono e sollecitano il parere dei figli, tengono in considerazione il loro punto di vista, dialogano e si confrontano, ma allo stesso tempo sanno dire no, in accordo con i valori che cercano di trasmettere. I figli dei genitori autorevoli, infatti, sembrano più fiduciosi nelle proprie capacità, più competenti da un punto di vista socio-relazionale, più responsabili e maturi. Saranno quindi meno probabilmente vittime giacché sanno affermare il proprio punto di vista con assertività e non sono passivi, quindi all’occorrenza sapranno anche richiedere aiuto. In conclusione possiamo affermare che il modo migliore per formare futuri adulti sicuri di sé, responsabili delle proprie azioni, socialmente competenti e maturi è quello di offrire un sistema di regole coerente combinato con una buona vicinanza emotiva-affettiva e l’impalcatura per tutto questo è sempre costituita un buon dialogo tra genitori e figli.