di Saverio Sgroi
Riproduzione da Noi in famiglia del 18 settembre 2022
Ci sono diversi modi di porsi davanti ai limiti della persona che amiamo. Possiamo coltivare la speranza che essa un giorno riesca a superarli. Oppure possiamo arrenderci alla rassegnazione,
convinti che ciò non potrà avvenire mai. Ma c’è una terza via: vedere nei suoi limiti i gradini per farci giungere ad una pienezza di vita che altrimenti per noi sarebbe inarrivabile. Di questa
pienezza parla il poeta austriaco Rilke con alcune parole bellissime: «Questo è il paradosso dell’amore fra l’uomo e la donna: due infiniti si incontrano con due limiti; due bisogni infiniti di
essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare. E solo nell’orizzonte di un amore più grande non si consumano nella pretesa e non si rassegnano, ma camminano insieme
verso una pienezza della quale l’altro è segno».
Queste parole, soprattutto le ultime, ci aprono la strada verso qualcosa che è più grande di noi. Possiamo comprenderle meglio se le leggiamo assieme ad un passaggio di una canzone di Franco
Battiato, poco conosciuta a dire il vero, che dice così: «Bisogna muoversi, come ospiti pieni di premure, con delicata attenzione per non disturbare. Ed è in certi sguardi che si vede
l’infinito». Sono parole che ci fanno pensare alla sacralità della vita di coppia e della persona che abbiamo accanto. La vita in due assomiglia a una danza, che riesce nella misura in cui
sappiamo assecondare i movimenti dell’altro. A volte può essere necessario prendere l’iniziativa per condurre il partner verso un cambio di passo. Ma anche in questo caso, riusciremo a danzare
con grazia solo muovendoci 'con delicata attenzione per non disturbare'. Questa danza dovrebbe celebrare il rispetto, la meraviglia e lo stupore davanti a chi rimane per noi un mistero e di cui
non possiamo disporre mai, perché non ci appartiene. Neanche se ci avesse promesso fedeltà eterna.
Per questo il nostro partner è sacro. E la sua sacralità emerge ogni volta che ci permette di intravedere quell’unica realtà in grado di colmare il nostro cuore: «è in certi suoi sguardi che si
vede l’infinito», ci ricorda Battiato. Quando il nostro partner si prende cura di noi, quando ci chiama per nome, quando ci ama, noi abbiamo l’opportunità di intravedere l’infinito. Quando piange
o quando gioisce con noi, noi vediamo l’infinito. Ma anche quando, suo malgrado, ci mostra i suoi limiti, noi possiamo andare al di là delle fragilità e, ancora una volta, riuscire ad intuire
l’infinito. A patto che sappiamo guardare oltre, come ci ricorda Rilke quando dice che i partner «camminano assieme verso una pienezza della quale l’altro è segno». Ecco perché i limiti della
persona amata possono darci una grande opportunità per crescere non solo come coppia ma anche come singole persone. E forse ci danno anche una chiave di lettura per andare un po’ più a fondo
sulla nostra difficoltà a gestire la delusione. Mi spiego meglio. Perché fatichiamo ad accettare il fatto che la persona che amiamo delude le nostre attese? Forse la risposta a questa domanda sta
proprio in ciò che ci aspettiamo da una relazione. Molto spesso regoliamo le nostre aspettative su noi stessi e sui nostri bisogni affettivi piuttosto che sulla persona che abbiamo di fronte. E
se questa finisce per deluderci forse non è lei che non risponde come dovrebbe; semplicemente non risponde come vorremmo noi.
«Il vero amore non è altro che l’inevitabile desiderio di aiutare l’altro ad essere quello che è», ha scritto Jorge Bucay. L’amore vero deve muoverci verso l’altro, deve spingerci ad andargli
incontro, non solo ad accettarlo ma anche a permettergli di essere se stesso. Ma c’è un altro passaggio importante da fare: il vero amore non consiste solo nell’accettare l’altro per quello che
è; amare vuol dire anche permettere all’altro di venirci incontro, di sanare le nostre ferite. Se riusciremo ad aprirci a questa accoglienza, troveremo un balsamo per il nostro dolore.
Sì, perché a volte la sofferenza nelle relazioni è causata dal non essere capaci di perdonarci, di perdonare noi stessi per essere quello che siamo o per aver commesso certi errori. E agli altri
chiediamo ciò che noi non riusciamo a dare a noi stessi. Pretendiamo che riescano a colmare un vuoto che noi per primi riteniamo incolmabile. Un’impresa impossibile, destinata a fallire: per
questo finiranno per deluderci. Ecco perché se gli altri ci deludono e facciamo fatica a metterci alle spalle questa delusione, può essere l’occasione per guardarci dentro. Quasi sempre troveremo
qualcosa che non va anche in noi. E forse può essere la volta buona per far pace finalmente con noi stessi.
In tempo di coronavirus, un pomeriggio sono uscito a fare la spesa con mia moglie. Ad un certo punto ci siamo fermati in un negozio di calzature. Entrambi indossavamo, come richiesto dalle
disposizioni vigenti in quel periodo, la mascherina di protezione dal rischio di contagio.
Mentre lei osservava i vari modelli di scarpe alla ricerca di quello giusto, io osservavo lei. Guardavo i suoi occhi, al di sopra della mascherina che le nascondeva il volto ma al contempo
esaltava la bellezza del suo sguardo. Occhi che avevo guardato tante altre volte. Eppure quel pomeriggio mi sembravano infinitamente più belli.
Molto spesso dimentichiamo o non diamo importanza alla bellezza della persona che abbiamo accanto. Veniamo distratti dai suoi difetti, dai suoi limiti, dalle imperfezioni e perdiamo di vista i
tanti motivi che ci hanno fatto innamorare di lei. Eppure stanno tutti lì, non sono spariti. Anzi, magari col tempo ne abbiamo pure scoperti altri. Solo che li abbiamo dimenticati.
Una volta lessi una storia che mi colpì molto. Un sacerdote era andato a cena a casa di una coppia di amici. Non si incontravano da molti anni; la loro amicizia risaliva al tempo in cui li aveva
sposati, 35 anni prima. A un certo punto, durante la serata, si era lasciato andare ad un complimento sulla longevità del loro matrimonio: «Immagino che abbiate attraversato anche momenti di
crisi, ma se siete qui vuol dire che siete stati bravi a superarli ». Alle parole del sacerdote, la donna uscì dalla stanza e tornò dopo pochi istanti con un quaderno in mano. «Ecco il segreto
della nostra unione - disse -. Qui dentro ho appuntato tutto ciò che di bello è successo tra me e mio marito in tutti questi anni, i lati positivi del suo carattere, i motivi che mi hanno fatto
innamorare di lui e mi hanno spinto a sposarlo. Anche lui ne ha uno dove sono scritte tutte le cose belle che nel tempo ha scoperto su di me. Ricorda? Era stato lei, durante l’omelia della Messa,
a suggerirci di tenere un 'diario della bellezza', da andare a rileggere tutte le volte che avremmo pensato di aver sposato la persona sbagliata. Ci avrebbe aiutato a dare il giusto peso alle
tante luci che costellavano la nostra vita e a ridimensionare le poche ombre che ogni tanto apparivano nel nostro rapporto. Ed in effetti ha funzionato».
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