Dentro il mistero della coppia

Lui,lei: si può crescere insieme solo integrando le differenze

Riproduzione parziale dal n. 216 di "Noi famiglia & vita" del 26/03/2017
 
di Cecilia Pirrone

Oggi, nel mondo del 'dove tutto è possibile' e del 'va dove ti porta il cuore' parlare di dialogo tra maschile e femminile sembra anacronistico. La tendenza è quella di evitare la distinzione, quella differenza in cui invece troviamo la ricchezza. Noi viviamo in un’epoca in cui la differenza è vissuta in modo competitivo: o la si elimina del tutto, vedendo nel diverso un nemico da combattere, oppure la si esaspera vivendo la frammentazione più esagerata. Tutto è legittimo, qualsiasi tipo di esperienza è accettabile perché esperienza, fino al punto di negare in modo assoluto i valori della mascolinità e della femminilità. La nostra epoca, tende all’ideale della 'auto-realizzazione', al soddisfacimento dei propri bisogni emotivi, al proprio benessere, o semplicemente al 'sentirsi bene'. Sentimenti, affetti, emozioni. Doni di Dio evidentemente, ma che hanno preso uno spazio nuovo, quasi totalizzante nella nostra epoca. Esaltati, enfatizzati, divenuti quasi i padroni dell’esistenza. L’uomo diventa un semplice 'consumatore' di emozioni. Il rischio è di un individualismo estremo: anche nella vita di coppia è sempre più difficile, poiché si è auto-centrati.


Questo accento sull’individualismo emotivo è fondamento della 'moderna liquidità' dei legami: durano un click, si può entrare ed uscire come nello zapping; anzi, si possono tenere relazioni 'multitasking'. Certo il rischio è di ridurre l’amore all’emotività, al 'sentimento immediato'; al benessere individuale, «senza alcuna considerazione né rispetto dei diritti dell’altro». Ma qui si apre il cammino dell’educazione all’amore e della coppia.


La maturità invece comporta la capacità di distinguere, di cogliere la differenza, ma anche di mettere insieme, in un rapporto armonico, questa diversità.


Al primo posto c’è il criterio dell’uguaglianza, cioè della pari dignità dell’uomo e della donna. La donna fatta 'come aiuto che gli sia simile' (cfr Gen 2,18), aiuto che sia da stimolo all’uomo in senso dialettico perché non è l’identità, ma la differenza che fa crescere. Non possiamo dunque parlare di superiorità o di inferiorità ma solo di uguaglianza che si esprime in modi diversi. Anche dal punto di vista fisiologico nell’uomo e nella donna sono presenti sia il maschile che il femminile, solo che nell’uomo prevale la mascolinità e nella donna la femminilità, con le loro proprie caratteristiche.


Ogni tentativo di appiattimento, di omologazione è un affronto al valore della persona. Uno degli aspetti che caratterizza l’essere femminile e l’essere maschile è certamente la corporeità come linguaggio. Il nostro corpo è un modo per dire chi siamo, come ci collochiamo nel mondo, in che modo ci poniamo in rapporto con la realtà fisica, psicologica e relazionale. Ossia queste caratteristiche del corpo diventano un modo specifico di relazionarsi con gli altri, di comportarsi e di ragionare.


La donna ha un corpo fatto per portare dentro, per contenere, per accogliere sia che nella sua vita abbia dei figli, sia che non li abbia. Possiamo pensare al corpo femminile come ad uno scrigno, la femminilità è più interiore proprio perché il corpo contiene, porta, tiene dentro; la mascolinità è più portata all’esterno perché è proiettata fuori di sé, esplora. Il corpo maschile è orientato in direzione opposta ma complementare a quello della donna. Egli sperimenta il dare, il consegnare.


Le debolezze della relazione femminile e maschile


Tuttavia questa capacità di relazione ha le sue debolezze: l’amore femminile è possessivo e avvolgente, non per niente c’è il cordone ombelicale. Soprattutto in una cultura in cui l’uomo non taglia il suo cordone ombelicale, cioè dove i figli sembrano non si separarsi più dalle madri. Questa caratteristica di amore possessivo e avvolgente non è tipico solo del rapporto madre-figlio, ma è un pericolo che corre ogni donna che vuole bene. Per il bambino il rischio è quello di non imparare a diventare autonomo, la sua autostima ne potrebbe risentire fortemente in virtù del fatto che la mamma rischia di sostituirsi a lui. Il padre deve farsi avanti con forza, è colui che pone la distanza sana tra il figlio e la madre e ne favorisce l’autonomia e l’entrata nella società. Il compagno invece scappa…è il modo in cui si difende, quello di diventare esageratamente autonomo.


Nella dimensione psicologica relazionale questi termini così assoluti rischiano di imprigionare l’altro, di farlo sentire catturato, afferrato e di non lasciarlo libero. Gli uomini invece sono più capaci di amicizia perché sanno condividere, sono meno esclusivi nelle relazioni. Un ultimo aspetto. Proprio perché possessivo l’amore femminile seduce, cioè attira a sé, si mette al centro dell’attenzione, non solo nella sua forma estetica, ma anche in quella affettiva: per esempio facendo la brava bambina, la figlia modello, la figlia di papà. La donna usa le sue qualità relazionali per piacere, anche attraverso ogni tipo possibile di intervento. Ama piacere! Tra l’altro questo bisogno esagerato di piacere, di sedurre, di essere al centro dell’attenzione la rende facilmente rivale di un’altra donna. La rivalità maschile si esprime in ambiti più esterni, sociali, assume la forma della competizione sportiva o professionale, maggiormente esplicita e visibile. Quella femminile si esprime in ambiti più affettivi: piaccio di più, conquisto di più, non solo uomini, ma anche nella comunità.


Riguardo all’affettività femminile, oltre al possesso e alla seduzione dobbiamo ricordare un altro aspetto collegato al modo di comunicare. La comunicazione femminile dice e non dice, suggerisce, insinua, ferisce; di contro è calda, accogliente e riflessiva.
Una donna generalmente è un vulcano di emozioni, un uomo è più razionale e lineare nel suo modo di comunicare. Se dice una cosa è quella, non ci sono insinuazioni, significati nascosti o allusioni.


Lui, lei, l’amore i risvolti pedagogici


Pensare alla differenza come risorsa ha un importante risvolto educativo: le belle parole dei genitori funzionano, là dove dicono al proprio figlio, ad esempio, che non devono disprezzare il compagno di classe perché – poniamo – ha la pelle di un altro colore. Dove mai potrebbero i figli apprendere questa rivoluzionaria convinzione che il diverso non è una minaccia, un colpevole, uno da tenere lontano, se – in famiglia – non sono tollerate e accolte nemmeno le minime diversità? Perché continuiamo a stupirci che le sole parole non servano a nulla? Molti genitori si affannano a preparare il conto in banca per i figli e si dimenticano di preparare loro il vero 'conto', che garantisce loro il futuro: un’atmosfera familiare in cui l’accordo sia possibile, in cui la mentalità cooperativa divenga scelta concreta di vita. Una scelta mai raggiunta una volta per tutte, poiché la tentazione di competere è sempre in agguato e la nostra società purtroppo spesso ci incentiva a farlo. Ma per accedere ad una mentalità cooperativa, che riconosca nella differenza il suo valore, occorre sentirsi ugualmente degni di rispetto, di cura, di attenzione e di ascolto. Occorre essere liberi da giudizi sull’altro.


Se maschile e femminile, maternità e paternità non si 'parlano', il rischio è di cadere intrappolati nel proprio stesso sistema: ci sono situazioni, in cui la figura materna si afferma sempre più anche in forme che non sono tipicamente materne, e quella paterna viene in questi casi sempre più svilita.


Il dialogo profondo è molto gratificante, sapere che l’altro è attento a quello che si dice, che ogni emozione sentimento valore sarà preso in considerazione, cioè l’altro si sentirà compreso è una delle esperienze più belle che la coppia possa fare. La sintonia di un dialogo profondo esprime l’essenza stessa del rapporto di coppia. Ciascun partner comprende intimamente ciò che l’altro sta dicendo e si sente libero si rispondere mostrando il proprio mondo interno. La comunicazione procede con un suo ritmo, come se fosse una danza armoniosa. Poi però entrano in gioco le interferenze dove rabbia, risentimento, incomprensione, malintesi e giudizi prendono il sopravvento. Anche il significato del dialogo spesso può essere differente tra uomo e donna: per il primo può essere un momento in cui prendere decisioni comuni, per lei invece può essere l’essenza del rapporto stesso, in cui si condivide tutta la vita, cioè i sentimenti, i problemi, i progetti, i valori. Questa differenza tra maschile e femminile, se non viene vissuta cercando una mediazione, un accordo, può portare a rigide divisioni.


Un po’ di ragione e un po’ di emozione


Spesso gli uomini esprimono molto meno i sentimenti delle donne, perché nella loro infanzia sono stati educati a reprimerli 'non piangere come una femminuccia!'; le donne invece sono inclini a sottolineare il lato emotivo di un problema di dialogo, mentre gli uomini tendono ad analizzare le situazioni e gli aspetti razionali. Ovviamente come per tutte le generalizzazioni può avvenire anche il contrario e tutte le sfumature sono possibili. La sintesi è la cosa migliore: dare spazio agli aspetti emotivi e sentimentali, poi a quelli razionali ed infine a quelli valoriali. Se ci si pensa bene questa successione riflette anche lo sviluppo della personalità: quando si nasce si è istinto ed emozione, poi, grazie all’educazione formiamo il nostro io che è la parte razionale e per finire sviluppiamo il super io che è la parte che riguarda i principi e i valori. Da un altro punto di vista si potrebbe dire: all’inizio prevale il femminile (emozioni e sentimenti), poi il maschile (ragione) infine la coppia (i valori condivisi e l’accordo conquistato). È importante riconoscere queste dinamiche poiché se il proprio compagno desidera un sostegno emotivo è del tutto inutile dare razionalità, perché anche se questa è giusta e intelligente, non serve perché non soddisfa la richiesta e pertanto l’altro si sentirà incompreso.