QUANDO UN FIGLIO SPICCA IL VOLO

 


Riproduzione  parziale dal n. 144 di "Noi, genitori & figli" del 26/09/2010


di Luciano Moia


Le radici e le ali. Bellissima frase, letta in decine di saggi e altrettante volte ripetuta. Sintesi efficace di un percorso educativo che deve offrire ai figli la saldezza di valori motivati e soprattutto vissuti con coerenza, con lo slancio per portare ovunque quelle convinzioni e trasformarle in un progetto di vita buona e impegnata.


Coltivare radici salde, capaci di adattarsi ai terreni più insidiosi e alle condizioni più difficili, non è mai stato agevole. E oggi, come sappiamo, lo è ancora di meno. Ma offrire ali per spiccare il volo conservando pacatezza e serenità, senza tradire ansie e preoccupazioni, anzi mostrando fiducia nelle capacità e nell’equilibrio di chi sta per lasciare il nido ma anche in quello che si è riusciti a trasmettere, è un momento decisamente più impegnativo. Provare per credere. Guardiamo il volto di nostro figlio e ci accorgiamo che non tenta neppure di nascondere la gioia travolgente che ha nel cuore. La nuova pagina è appena dischiusa ma già gli appare ricca di prospettive importanti, di nuove avventure, di percorsi affascinanti. La condivisione silenziosa di noi genitori si traduce subito in faticoso tentativo di controllare un’emozione che ci sorprende indifesi e vulnerabili. Vorremmo che la sua esultanza appena trattenuta, le scintille di entusiasmo che esplodono da ogni suo gesto, i progetti ovviamente straordinari disegnati da ogni sua parola, fossero anche per noi motivo di conforto. Ma come è difficile nascondere dietro un sorriso tirato i tanti interrogativi che ci si affollano dentro, e si sovrappongono, e si aggrovigliano, e sembrano toglierci il respiro.


Eppure sappiamo che non è un capriccio il suo. Non si tratta di un proditorio e inconcludente «vado a vivere da solo», un gesto velleitario e immotivato per segnare un distacco fine a se stesso. Esce di casa per una scelta che, lui prima di noi, ha meditato e sofferto. Trasformarsi in “fuorisede”, secondo l’accezione di una parola bruttissima che vorrebbe descrivere il percorso degli universitari costretti a lasciare la propria città per studiare in un ateneo lontano, è la conseguenza di una decisione coerente, razionale, che punta a trasformare in percorso di studi una passione da tempo coltivata. Ne abbiamo parlato, abbiamo condiviso quell’idea, abbiamo verificato che, per realizzare quello che nostro figlio ha in mente, non esiste altra strada possibile se non puntare proprio su quella facoltà che in Italia ha soltanto due sedi. Entrambe lontane. È che quindi è necessario trasferirsi là.


Ma la ragione, in circostanze come questa, è voce flebile, incapace di sostenere il fitto ordito di dubbi e di incertezze, di timori inespressi e di eventualità lontane – eppure sempre possibili – che soltanto l’affetto di due genitori può tessere fitto fitto intorno a un progetto di futuro, comunque positivo e fondato. Eppure la stessa ragione dovrebbe essere sufficiente per procedere all’abrasione dell’involucro di emotività che avvolge il cuore e riportare la decisione alla sua essenzialità. Non parte per la guerra, non va nello spazio, non affronta una traversata oceanica in solitaria. Eppure quella scelta, per quanto obbligata, per quanto compresa e condivisa, ha comunque il sapore di una piccola sfida. Per lui che l’affronta con tutto l’impeto e – diciamo noi – l’inconsapevolezza dei suoi magnifici 19 anni.  Per lui felice di misurarsi per la prima volta da solo in un confronto finalmente da adulti, dove impegno e merito, costanza e serietà sono le uniche armi per superare l’ostacolo. Ma anche per noi genitori non si tratta di una prova trascurabile. La leggera inquietudine che serpeggia nel fondo dell’anima non dipende tanto dalle incognite di una partenza, quanto dal fatto che quella lontananza è anche un banco di prova per quello che noi, padri e madri, abbiamo saputo costruire nel cuore dei nostri ragazzi. Adesso, dopo tanti anni, non si tratta più di parlare, di guidare, di consigliare, ma solo di accompagnare da lontano un percorso che, se non è mai stato soltanto nelle nostre mani, adesso appare davvero affidato soprattutto alla responsabilità dei figli. Nella saggezza delle loro scelte c’è la misura di una qualità. Quella dei doni che noi genitori abbiamo offerto, giorno dopo giorno, alla loro fatica di diventare grandi.