Riproduzione parziale dal n. 228 di "NOI, famiglia&vita" del 29/04/2018
di Maurizio Quilici*
Assente o troppo presente, dolce o severo, inutile o necessario, smarrito o sicuro di sé… Sul padre si scrive e si afferma di tutto. Vuol dire che finalmente ci si è accorti che il maschio è
cambiato e che l’essere padre – parte essenziale della mascolinità – ha assunto caratteri rivoluzionari. Non è eccessivo il termine (spesso parlo e scrivo di 'rivoluzione paterna') perché per
molti aspetti il padre attuale non ha riscontri nella storia dell’umanità. Accorgersi che il padre di oggi è profondamente diverso da quello di cinquanta o sessant’anni fa è condizione necessaria
ma non sufficiente per trarre le conseguenze e assegnargli un nuovo ruolo nella società e in famiglia. Così assistiamo spesso a stereotipi a senso invertito: casi in cui a soffrire dei pregiudizi
di genere non è la donna, da secoli penalizzata, ma l’uomo, o meglio il padre. Anche questa è una novità storica.
Un tema così complesso, così nuovo, così articolato (e così importante) merita di essere esaminato con continuità e precisione, seguito nella sua evoluzione e nelle sue trasformazioni. È questo
il compito che si sono prefissi l’Istituto di studi sulla paternità, e l’Università RomaTre-Dipartimento di scienze della formazione, che dopo aver pubblicato, lo scorso anno, il 1° Rapporto
sulla paternità in Italia, il 19 marzo scorso hanno dato vita ad una Giornata di studi sulla paternità i cui contributi costituiranno il 2° Rapporto. Se dovessimo 'disegnare' il padre che è
emerso da questi lavori lo faremmo con un tratto leggero, sfumato. Perché la trasformazione cominciata mezzo secolo fa continua, è un processo costante, un continuo osservarsi, confrontarsi,
modificarsi. Non ci sono più i tratti marcati di quando padre e madre avevano ruoli ben definiti, chiesti (imposti) dalla società. E il padre è in continua evoluzione, alla ricerca di una
fisionomia che è ancora di là da venire. Sul suo conto si chiariscono certi aspetti, altri ne emergono, a volte insospettati. Un esempio? Secondo lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet,
l’imperante narcisismo che oggi si esprime in molti modi – dalla dipendenza da Facebook, con la spasmodica ricerca di 'amici' e di 'like', all’imperversare dei selfie – denuncia una fame di
attenzione per colmare il vuoto lasciato dalla figura paterna. Ecco, partiamo da qui: il padre è assente? Basta intenderci. Il padre, nella sua dimensione affettiva (e affettuosa) non è assente,
anzi. Mai come oggi è stato presente nella vita dei figli, mai come oggi lo è stato da subito, ossia dalla nascita: sul totale dei parti naturali in Italia quasi l’80% dei padri assiste alla
nascita e nei casi in cui al parto assiste una persona di fiducia questa persona è il padre nel 91,3% dei casi. Per non parlare dei numerosi papà che partecipano, assieme alle future mamme, ai
corsi pre-parto. La loro presenza accanto al neonato è costante, tenera, affettuosa, abile nell’accudimento, segnando anche in questo una differenza abissale con il passato, quando il poppante
era tabù per il genitore maschio. È vero: utilizzano poco i congedi parentali (ma la percentuale aumenta leggermente ogni anno) però hanno delle scusanti che vanno dal sacrificio economico (il
30% della retribuzione fa sì che il congedo sia piuttosto appannaggio della madre, che patisce la differenza salariale rispetto all’uomo) all’atteggiamento di incomprensione, quando non di vero e
proprio ostruzionismo, dei datori di lavoro. Anche qui è in atto un modesto ma costante miglioramento, sia nella mentalità delle aziende che nel welfare italiano (da que- st’anno i giorni di
permesso alla nascita per il padre sono quattro e sono obbligatori). Il figlio cresce e il padre continua ad essergli vicino: attento, empatico, partecipativo. A volte anche troppo, come quando
entra in competizione con la madre e vuole assurgere a genitore 'primario'. Un padre, insomma, senz’altro presente, che si propone come 'padre amico', 'padre compagno'. E qui l’impalcatura
comincia a scricchiolare e compare l’altra faccia del padre, il padre assente. È assente il padre autoritario di una volta, e questo è un bene. Nessuno lo rimpiange. Ma è assente anche il padre
autorevole, sostituito dal padre-amico o padre-compagno.
Sul padre-amico ci sono due scuole di pensiero: c’è chi è favorevole e chi è contrario. Io appartengo alla seconda scuola, quella di chi ritiene che bambini e ragazzi abbiano già un gran numero
di amici e compagni e non abbiano bisogno di un altro amico. Il padre deve fare il padre e svolgere il suo ruolo, che è quello anzitutto educativo. Quest’ultimo prevede il limite, il controllo,
quando necessario il divieto (mai la violenza, né fisica né verbale). Cose che non rientrano certo nel ruolo di amico – una relazione 'orizzontale', come amano dire gli psicologi, ossia paritaria
– e necessitano invece di una relazione 'verticale', vale a dire gerarchica. Si può – e si dovrebbe – essere padri teneri, empatici, comprensivi, pronti al dialogo, ma… genitori, non amici. Il
padre-amico non può trasformarsi per incanto, quando diventa necessario come avviene spesso durante l’adolescenza, in genitore autorevole, che dà non solo consigli ma anche direttive e traccia
confini. Grazie al padre-amico è praticamente scomparso il conflitto generazionale, per secoli considerato fisiologico e funzionale al rapporto padre-figli. Anche qui due schieramenti: qualcuno
saluta con favore la fine del conflitto, in nome di una pacificazione in famiglia; qualcun altro ne paventa le conseguenze. Ma il conflitto non è necessariamente distruttivo. Esiste anche un
conflitto costruttivo, che serve a conoscersi, confrontarsi, accertare i limiti reciproci, ritrovarsi. Lo scontro padre-figli (solitamente più aspro di quello madre-figli) rendeva entrambe le
figure più forti e più consapevoli e quasi sempre si risolveva in un incontro.
Sono davvero tanti gli aspetti che segnano i 'nuovi padri': dalla fisicità (abbiamo accennato al diverso rapporto con il neonato) all’accudimento (nessun padre, oggi, si trova imbarazzato se deve
preparare una pappa o cambiare un pannolino) alla capacità di esprimere liberamente i propri sentimenti e le proprie emozioni. Una caratteristica, quest’ultima, che rientra nella generale,
importante trasformazione del maschio, passato senza rimpianti dalla figura – ormai anacronistica e un po’ caricaturale – del macho a quella di uomo che, senza abdicare alla sua naturale
virilità, sa esprimere anche la parte più sensibile di sé.
Luci, ma anche ombre, come la separazione e l’affidamento dei figli: situazione che vede il padre in posizione difficile non solo economicamente (la Caritas ha definito più volte i padri separati
'nuovi poveri') ma soprattutto nella relazione affettiva con i figli, spesso strumentalizzati da entrambi i genitori nel conflitto e spesso usati dalla madre (la separazione è decisa più spesso
dalla donna che dall’uomo) come strumento di ricatto e vendetta. Comunque sia, tra conquiste e sconfitte, fra dubbi (molti) e certezze (poche), fra entusiasmo e sfiducia i 'nuovi padri'
proseguono il loro cammino. Hanno scoperto la meravigliosa, commovente bellezza di fare il padre, cosa ben diversa dal semplice essere padre, e non torneranno indietro.
*presidente Istituto studi sulla paternità
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