EMERGENZA DROGA


Consumo in rapida crescita


 Nessun ambiente ne è esente, nessuna famiglia può dire di esserne al riparo


di Emanuela Zuccalà


Riproduzione  parziale dal n. 102 di "Noi, genitori & figli" del 26/11/06


Come me ne sono accorta? Io non me ne sono mai accorta... Una sera venne da me la sua fidanzata, una brava ragazza, stu­dentessa. Era agitata, imbarazzata. Mio figlio le aveva rubato dei soldi, più di un milione di lire. Stavano in un cassetto, un regalo dei suoi genitori per comprare un computer. Signora, credo che Andrea si droghi, disse alla fine. Fu una doccia fredda. E insieme, stranamente, una specie di liberazione. Come se il mio istinto di madre avesse sempre saputo, ma ci volesse qualcuno che mi sbattesse in faccia la realtà». Sara ha 54 anni, è bella ed esile. Parla piano, a brevi sussurri. Accetta di rievocare questa storia vecchia di anni, la storia che ha ferito la sua vita tranquilla di impiegata e di madre rimasta vedova troppo giovane con due bambini, solo perché oggi sembra davvero tutto finito. Andrea, il minore dei due figli che ha cresciuto da sola, si è appena sposato, ha un buon lavoro e le telefona due volte al giorno dalla città in cui si è trasferito, a mille chilometri dal paesino Veneto dove Sara vive. La schiavitù dalla cocaina è un ricordo, anche se in fondo mai sbiadito: resta là come un monito, «perché mio figlio era intelligente e vitale eppure ci è caduto e ha toccato il fondo. E anche se è risalito, la sua zona fragile e oscura ancora mi sorprende e mi tiene in allerta». La caduta di Andrea comincia un'estate, dopo il diploma, mentre lavora come cameriere in un posto di mare. Una sera, chiuso il ristorante, il suo principale mette sul tavolo un vassoio di cocaina e gliela offre. Andrea accetta. È la prima volta che si droga, gli sembra un'esperienza come un'altra ma la polvere bianca impiega poco a sedurlo: quell'illusione di onni­potenza e la fatica fisica che scompare. La cocaina diventa la sua retribuzione. Le ultime due settimane della stagione dorme in spiaggia: non ha più soldi per la stanza in affitto. Torna a casa diverso, trasandato e irritato. «Pensai che fosse un normale passaggio all'età adulta - ricorda la madre -ma lui non cercava lavoro e io cominciai a preoccuparmi. Usciva ogni sera, a volte tornava al mattino dicendo che era stato con la fidanzata. Io non capivo, sospettavo, ma non volevo fare la madre ansiosa, temevo lo scontro. Che stupida... preferivo difendere una finta tranquillità familiare piuttosto che cercare la verità... Un giorno mi disse che era stato assunto come custode notturno in una ditta, e mi portò fuori a pranzo per festeggiare, in un bel ristorante. Volevo crederci».


Andrea ha cominciato a spacciare, i soldi gli girano. Frequenta un giro di giovani ricchi e tossici di una città vicina. Passano le notti in discoteca o al bar. Lui di giorno vede la fidanzata per mantenere un'immagine rispettabile e di notte frequenta altre donne. La commedia dura quasi un anno. Fino alla visita della fidanzata a Sara. «Quella sera lo aspettai, e all'alba sentii la porta che si apriva. Mio figlio mi sembrò sfigurato: non era lui. O forse ero io che lo vedevo per la prima volta. Mi sforzai di restare calma, di essere dolce, mentre gli dicevo di quei soldi scomparsi. E quando scoppiai a piangere, lui ebbe una reazione strana: mi guardò a lungo con gli occhi rossi e spenti, poi mi abbracciò sussurrandomi: aiutami».


Seguono giorni d'inferno: Sara fa mille telefonate per trovare una comunità che accolga suo figlio; lui sta chiuso in camera illudendosi di disintossicarsi da solo. Suda freddo, vomita, piange. «Chiesi un'aspettativa al lavoro, non potevo lasciarlo solo. Pregai l'altro mio figlio, che era già sposato, di aiutarmi ma non ne volle sapere: si è comportato da idiota e merita di stare male, mi disse al telefono, e fu un'altra doccia fredda. Avevo paura a rivolgermi ai servizi per tossicodipendenti perché mi rodeva un dubbio: se aveva rubato quei soldi forse si era infilato in faccende illegali. Dovevo prima vederci chiaro». Dopo una settimana di incubi Andrea esce di casa e scompare. Va da una donna del suo giro, Sara lo cerca per due settimane ma non vuole chiamare la polizia. È lui a telefonare. Dal carcere. In uno di quei festini a base di alcol e stupefacenti una persona è morta. Lo condannano a sei anni. «Solo a quel punto l'altro mio figlio si è riawicinato a lui, e lo ha fatto per me -continua Sara -. Senza il suo sostegno non sarei mai riuscita ad aiutare Andrea. E sa una cosa? Ero contenta che fosse finito in galera. Non mi interessava il giudizio della gente: ero sollevata perché solo quell'estrema umiliazione poteva farlo riflettere su quanto fosse caduto in basso, e spingerlo a risalire».


Andrea passa due anni in cella, poi viene accolto da una nota comunità di recupero del centro Italia. La madre e il fratello vanno da lui ogni settimana e toccano il suo cambiamento, lento ma costante: studia informatica, legge, affianca gli operatori nell'accoglienza di nuovi ragazzi. «La cosa più difficile, per me, è stata calibrare amore e fermezza - ammette Sara -, fargli capi­re che lo amavo, che ero con lui, ma che non avrei tollerato altri errori, nemmeno la più piccola bugia». Andrea ottiene l'affidamento ai servizi sociali e torna a casa, impiegato in una cooperativa. Quando raggiunge il fine pena è un uomo, duro con se stesso ma anche più fiducioso della propria forza, ora che ha sconfìtto il mostro. Tempo dopo, in vacanza, incontra una ragazza, le racconta tutto e lei, dopo il primo turbamento, decide di scommettere su di lui. Si sposano e vanno nella città di lei, lontano. «Meglio così: qui ci sono troppi ricordi, troppe facce del passato... Là ha potuto davvero ricominciare da zero. E io ora so che bisogna sempre andare al fondo delle cose. Che quando scorgi un'ombra, anche una sola, nello sguardo delle persone che ami, devi costringerla a uscire. Solo la verità ci unisce. E oggi, in famiglia, siamo tutti più forti». ♦


 


DALLA CANNABIS ALLE "DROGHE FURBE": IDENTIKIT DEL NEMICO


di Pino Ciociola


Chiariamo subito: non esiste quasi più il tossico di una volta, quello col laccio legato all'avambraccio e l'occhio vitreo che s'incontrava negli angoli bui delle stazioni. Non c'è quasi più il buco. La droga oggi è faccenda pulita. Ci sono piuttosto la pasticca e/o la sniffata, preferibilmente durante il fine settimana. L'età del primo sballo s'è abbassata fino - in alcuni casi - a 13, 14 anni. Sta andando largamente di moda la "poliassunzione" (varie droghe più caffè più alcolici, tutto insieme in poche ore). E quasi più nessuno si considera "dipendente". Col risultato che le morti per overdose sono diminuite, ma sono aumentati i danni (spesso irreversibili) al cervello e alla psiche.


SOSTANZE LEGALI


Vengono usate da circa un terzo degli adolescenti, visto che il 27% fuma regolarmente, il 31% ha abusato di alcool almeno una volta negli ultimi trenta giorni e il 3,3% racconta di aver assunto tranquillanti senza prescrizione medica negli ultimi dodici mesi. (I dati sono raccolti nella Relazione governativa sulle tossicodipendenze e riguardano il 2005).


CANNABIS


«Un terzo dei ragazzi ne ha fatto uso almeno una volta si legge nella Relazione -. Il 15% degli studenti delle superiori l'ha utilizzata negli ultimi trenta giorni e il 3% ne fa uso quotidiano». Attenzione poi alla famiglia, nel senso che la presenza di un fratello che abusa di alcool o assume droghe «è un forte indicatore di rischio per l'accesso alla cannabis», mentre «la contiguità con la sostanza è assai inferiore in coloro che non hanno fratelli consumatori (14%)».


COCAINA E CRACK


L'uso almeno una volta della cocaina, compreso il crack, riguarda il 5,3% degli studenti, il 3,5 nell'ultimo anno e l'1,7% nell'ultimo mese. Anche per la cocaina - come per qualunque altra droga, sia pure con valenze diverse -«non essere utilizzatore di tabacco sembra essere il maggior fattore protettivo» e lo stesso «vale per l'abuso di alcool negli ultimi trenta giorni». Altri aspetti associati al consumo di cocaina sono lo scarso monitoraggio dei genitori sulla vita dei ragazzi e l'insoddisfazione di questi ultimi del rapporto coi genitori.


EROINA


II 2,5% dei ragazzi ha provato l'eroina almeno una volta, l'1,6% negli ultimi dodici mesi, e lo 0,8% nell'ultimo mese. «Circa il 10% degli studenti che è stato ricoverato in ospedale a causa di alcool o droghe riferisce un contatto con l'eroina nell'ultimo anno, rispetto all'1,4% dei soggetti che non sono stati ricoverati».


ALLUCINOGENI


Gli studenti che hanno utilizzato allucinogeni almeno una volta sono il 4% del totale e il 21% che ne ha assunti meglio ultimi dodici mesi. E «una caratteristica fortemente associata agli allucinogeni è avere un fratello che usa droghe e/o abusa di alcool: in questi casi il rischio cresce dieci volte».


STIMOLANTI


Circa il 3% dei ragazzi italiani fra i 15 e i 19 anni riferisce di avere utilizzato stimolanti e l'1% dice di averlo fatto nell'ultimo mese. Sembrano essere più facilmente al riparo dalla tentazione di ricorrere agli stimolanti «gli studenti che non fanno uso di sigarette e quelli che non hanno abusato di alcool negli ultimi trenta giorni».


"DROGHE FURBE"


Sono 25 le "smart drug" di origine naturale schedate dall'Istituto superiore di sanità. Si presentano sul mercato camuffate da bibite o pillole energetiche, gocce aromatiche e così via, non sono perseguibili dalla legge ma hanno effetti deleteri. Si chiamano Amanita muscaria, Areca Catechu, Citrus aurantium, assenzio, menta magica, vengono vendute in un centinaio di "smart shop" in tutta Italia, oltre che su internet, e si consumano per usi molto diversi: eccitanti sessuali, sedativi, ipnotici.



 

EMERGENZA DROGA/CHE FARE

 


Un argine chiamato famiglia


La Relazione governativa parla di "genitori presenti" come "fattore protettivo" al consumo di sostanze tossiche. Le due strade a disposizione per le cure: il servizio pubblico e il privato sociale.



di Pino Ciociola


Il primo e più efficace argine alla droga era e resta la famiglia. Pagina 83 dell'ultima Relazione sulle tossicodipendenze presentata dal governo al Parlamento: «I fattori protettivi rispetto all'utilizzo di droghe - si legge, chiaro e tondo - risultano essere il percepire l'interessamento nei propri confronti da parte dei genitori e avere una positiva relazione con gli stessi». Non che questo garantisca la lontananza dalle droghe e lasci dormire sonni tranquilli, eppure avere mamma e papa "presenti" si è sempre rivelato per i più giovani appunto una gran protezione da sballi e stupefacenti idiozie.

Quando tuttavia un figlio comincia in qualche modo a "farsi", la vita dell'intera famiglia prende una piega diversa e imprevedibilmente terribile. Con un interrogativo angosciante e difficilissimo: come e dove muoversi per salvarlo? Non esistono bacchette magiche, né una "ricetta" per curare la droga. Tanto più tenendo conto che la droga non è mai il problema, ma la conseguenza di un problema. E che un ragazzo non uscirà mai dalla tossicodipendenza fintanto che non avrà veramente deciso di volerlo. Così la famiglia ha solitamente a disposizione due strade principali: il servizio pubblico e le comunità private.

Ci si può rivolgere al proprio medico di famiglia, venendo indirizzati al Sert locale. Cioè i Servizi pubblici per le tossicodipendenze, istituiti dalla legge 162 del 1990. Lo scorso anno il ministero della Salute ne ha contati 535 per la cura e riabilitazione delle dipendenze. Sono attivi all'interno della Asl e vi lavorano (sebbene siano spesso sott'organico) medici specialisti in farmacologia, infettivologia, psichiatria, sociologi, psicologi, assistenti sociali, educatori, infermieri. Operano naturalmente non tutti nella stessa maniera: in alcuni si privilegia l'intervento farmacologico, in altri si punta maggiormente sull'aspetto psicosociale. (...)


Se con la vecchia legge sulla droga soltanto il Sert poteva certificare lo stato di tossicodipendenza e quindi eventualmente avviare il ragazzo a una comunità terapeutica, con la nuova è possibile rivolgersi direttamente a una struttura privata di recupero. (...)


Per quanto riguarda l'offerta di trattamento, il rapporto tra utenti in carico e personale impiegato mostra nel privato sociale valori che oscillano da un operatore per ogni ragazzo a un operatore ogni sei (rapporto che però conteggia anche i volontari). Presso i Sert lo stesso rapporto varia da un operatore ogni venti ragazzi a un operatore ogni trenta. ♦