Riproduzione parziale dal n. 237 di "NOI, famiglia&vita" del 24/02/2019
di Saverio Sgroi
Qual è il momento giusto per fare sesso? La domanda è sempre la stessa e a farmela sono, puntualmente, gli studenti di terza media che incontro in giro per le scuole siciliane. Li guardi
e ti rendi conto che dietro quella scorza di apparente durezza si nasconde una fragilità che spesso emerge alle prime vere difficoltà della vita. Fa pensare molto come a soli tredici
anni – che a guardarli, molti di loro non hanno ancora smesso i panni da bambini – questi ragazzi ricevano sollecitazioni così pressanti da fissarsi troppo prematuramente su quello che sarà il
loro primo rapporto sessuale. Una fissazione che molto spesso si traduce in un esercizio precoce della sessualità genitale. Si tratta di un fenomeno che trova conferme anche nei dati della
relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della Legge 194, resa pubblica poche settimane fa: i due principali contraccettivi di emergenza hanno avuto un incremento di vendite del 18%
per EllaOne (la pillola 'dei cinque giorni dopo', passata dalle 189mila confezioni del 2016 alle 224mila del 2017) e addirittura del 56% per il Norlevo (la pillola 'del giorno dopo', passata da
214mila confezioni del 2016 alle 335mila del 2017). Sono dati che devono farci riflettere. Senza dubbio non possiamo sapere quanti di coloro che hanno fatto uso di questi farmaci siano minorenni
o comunque persone giovani, ma non è improbabile che ci sia una consistente percentuale di giovanissimi che accedono a queste medicine. E dato che il numero di rapporti sessuali è ovviamente
superiore a quello dei contraccettivi di emergenza venduti, è facile dedurre che ci troviamo davanti ad una gestione sempre più disordinata della propria sessualità da parte dei giovanissimi,
anche a causa di una profonda mancanza di educazione specifica. Mi occupo di educazione affettiva e sessuale nelle scuole ormai da molti anni e riscontro sempre un grande desiderio dei ragazzi di
potersi confrontare con gli adulti su questo tema. «Abbiamo parlato di intimità, di noi stessi, dell’uso dei social network, cose di cui solitamente a scuola non si parla. Questi sono gli unici
momenti in cui parliamo di noi», mi ha scritto qualche tempo fa una ragazza di sedici anni al termine di un incontro fatto nella sua scuola. E un’altra ha evidenziato come «per una volta a scuola
si è parlato di noi stessi, del nostro essere e di amarci». La scuola può fare tanto. Da pochi giorni ho iniziato un percorso di educazione alla pace in una scuola siciliana; la docente
responsabile del progetto mi ha ricordato di parlare tanto della relazione, del dialogo, della comunicazione e molto, molto – ha sottolineato – di affettività. C’è un enorme bisogno di colmare
una lacuna che dura da troppo tempo. I ragazzi ce lo chiedono, con le parole ma prima ancora con i fatti. «Nelle scuole bisogna fare educazione sessuale. Il sesso è un dono di Dio, non è un
mostro, è il dono di Dio per amare», ha ricordato Papa Francesco ai giornalisti durante il volo di ritorno da Panama a fine gennaio. Proprio qualche giorno fa ho tenuto un corso in una terza
media di una scuola emiliana dove poco tempo prima si era verificato un episodio di sexting, un fenomeno che si sta diffondendo rapidamente tra gli adolescenti grazie all’uso di cellulari, social
e connessioni sempre più potenti che consentono facilmente lo scambio di foto e video personali molto intimi ed espliciti. Episodi del genere purtroppo sono sempre più frequenti e richiedono
un’urgente opera di prevenzione educativa.
La scuola sta già facendo tanto ma può e deve fare molto di più. Si sa che, spesso, l’ostacolo allo svolgimento di queste attività è di tipo economico. Eppure la mia esperienza personale mi porta
a pensare che prima ancora che dai costi, molto dipenda dalla lungimiranza dei docenti e soprattutto dei dirigenti scolastici che a volte sono capaci di tirar fuori risorse inaspettate per
far fronte alla copertura economica delle attività. In molti dei progetti di educazione affettiva e sessuale che ho condotto personalmente nelle scuole, i dirigenti scolastici hanno chiesto e
ottenuto il sostegno delle amministrazioni locali. In qualche scuola, inoltre, le iniziative formative sono state finanziate dalle famiglie stesse, nell’ottica di una virtuosa collaborazione tra
scuola e famiglia in ambito educativo.
«Ho imparato a guardare la sessualità e l’adolescenza con altri occhi. Quello che è stato detto sulla sessualità, in particolare, mi ha fatto cambiare idea: ho capito che non devo prenderla come
scherzo ma seriamente». Così ha scritto un ragazzo di tredici anni al termine di un corso fatto nella sua scuola. «Il corso mi ha insegnato a conoscermi, ad accettarmi e a rispettare chi ho
intorno», ha dichiarato un’altra ragazza di quattordici anni. E ancora: «Grazie a questi incontri ho imparato a fare amicizia con me stessa e ad apprezzare il mio corpo. Ora mi piaccio. Grazie!».
Queste testimonianze, se ce ne fosse bisogno, sono la prova che la scuola ha un ruolo molto importante nella crescita dei nostri ragazzi, a patto però di non dimenticare mai che quando si parla
di educazione dell’affettività e della sessualità il vero obiettivo rimane quello di educare all’amore. E sottolineo la parola educare perché purtroppo in più di qualche caso ci si limita
a presentare ai ragazzi una sorta di prontuario con le 'istruzioni per l’uso e per evitare di fare danni', che spiega cosa fare per non incorrere in gravidanze indesiderate e malattie sessuali.
Interventi che si limitano ad un approccio del genere risultano riduttivi e i ragazzi stessi, non raramente, manifestano una certa delusione perché non li si aiuta a rispondere alle domande di
senso e di significato che si fanno sulla sessualità: essi vogliono comprendere che senso ha l’amore prima ancora di sapere come si fa l’amore. La scuola può e deve fare molto, quindi.
Ma senza dimenticare che se parliamo di educazione all’amore, ad occuparsene dovrebbero essere innanzitutto i genitori. A meno che non ci siano motivi che lo rendano poco opportuno, l’educazione
affettiva e sessuale è un compito che va attuato all’interno della famiglia. Qual è infatti quel luogo privilegiato dove, ordinariamente, noi impariamo ad amare a partire dall’esperienza di
essere amati dai nostri genitori in maniera gratuita e disinteressata? I genitori sono i primi educatori dei figli e ciò vale a maggior ragione quando si parla di affettività, amore e sessualità.
E questo anche quando l’amore che si respira in famiglia è accompagnato – come è normale che sia in ogni famiglia – da fragilità, miserie e debolezze personali.
Quando incontro i genitori non smetto di ricordare loro che fare educazione affettiva e sessuale dei propri figli è una necessità imprescindibile, è un compito che, se svolto con la
giusta consapevolezza dei limiti, può diventare una bella opportunità da valorizzare. Certo, è importante aiutare i genitori a svolgere bene questo compito. E un aiuto concreto può
arrivare dalle parrocchie, dalla scuola stessa e dalle molte realtà formative capaci di promuovere una sana educazione affettiva e sessuale che, per usare ancora le parole del Papa, sia priva di
quelle 'colonizzazioni ideologiche' che invece di farle maturare, distruggono le persone.
Insomma, abbiamo davanti una bella sfida: quella di insegnare ai nostri ragazzi l’arte di amare. Ma per farlo è necessario che noi per primi ci sentiamo un po’ artisti. Artisti consapevoli che,
alla fine del lavoro, se lo avremo fatto con fiducia e speranza, potremo avere tra le mani una bellissima opera d’arte: la vita pienamente realizzata dei nostri figli.
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