di Daniela Pozzoli
Riproduzione da Noi Genitori & Figli
Fino a un attimo prima giocavano insieme e poi giù, botte da orbi, urla e pianti. E per cosa? Per decidere a chi tocca scegliere il titolo del dvd di cartoni animati da vedere insieme. In quante famiglie la pace viene distrutta così, quotidianamente, dai litigi tra fratelli, da gelosie, ripicche, piccole rivalità che non raramente spingono a passare dalle parole ai fatti? «Non spaventiamoci della rivalità. I conflitti vanno riconosciuti e affrontati, senza patemi d'animo e senza paura di ammettere che i nostri figli, a volte, se le danno di santa ragione o che magari non hanno gradito l'arrivo di un altro fratellino e sono molto gelosi. Serve a capire i limiti e sprona a superarli», spiega Roberta Giudetti, pedagogista, mamma due volte e soprattutto persona di buon senso che con il libro illustrato "Perché lui sì e io no?» ha affidato alla matita di Federica Bordoni sei storie che aiutano ad affrontare in maniera leggera i conflitti tra fratelli (Edizioni Erikson).
«Sorrido tra me pensando a quante volte mi è capitato di chiedere alle mamme che incontro - racconta Giudetti -: suo figlio è geloso del fratellino? E quante volte mi sono sentita dire con troppa sicurezza: assolutamente no, loro si adorano. Ma come, insisto, mai un motivo di scontro, di confronto, di litigio? Assolutamente no. Eppure non riesco a invidiare queste mamme perché so, per esperienza professionale, che quasi mai è davvero così. I miei figli non litigano da mattina a sera, ma capita spesso che lo facciano. Diffido sempre di genitori così sicuri e mi domando perché si vergognino quando i figli mostrano di essere gelosi e negano l'evidenza. Come genitori abbiamo il compito di trasformare in positivo situazioni difficili perché da questo confronto ciascuno dei contendenti può imparare e crescere».
Già, ma esistono tra fratelli litigi "buoni", costruttivi, e conflitti negativi in cui i genitori devono intervenire? «I litigi sono sempre costruttivi se servono a confrontarsi e a trovare una mediazione tra punti di vista diversi, sono distruttivi quando non conducono a nulla e ciascuno rimane della propria idea e magari chi è più forte non ha capito quali sono le ragioni dell'altro -interviene Giuseppe Maiolo, psicologo, esperto di adolescenti e dinamiche famigliari -. Il litigio tra fratelli coinvolge le reciproche posizioni e quindi questi "confronti-scontri" hanno bisogno sempre della figura del genitore che aiuti a mediare».
Mediazione è infatti la parola chiave; insegnare a capire le ragioni dell'altro è compito di mamma e papà. Nel suo libro Roberta Giudetti sostiene di lasciar agire i due litiganti, purché non arrivino a farsi male. Però c'è un momento in cui il genitore deve diventare arbitro e "fischiare il fallo". Ma quando? «Quando la conflittualità non trova una soluzione — insiste lo psicoterapeuta —. Il genitore non deve decidere chi ha ragione e chi torto, ma cercare di far emergere le ragioni dell'uno e dell'altro e trovare insieme una soluzione. Il genitore insomma è più negoziatore e intermediario che giudice». Sentendo però l'esperienza dell'autrice non è sempre così: «Molti genitori che ho interpellato stanno alla larga dai consigli ("Gli psicologi? Mentono sempre") e difendono a oltranza il quieto vivere, l'armonia famigliare, dimenticandosi che sono loro ad avere in mano il progetto educativo dei figli. Spesso invece vedo mamme "ostaggio" dei loro bambini».
Ma il litigio tra fratelli da cosa è generato? «Nasce dalla divisione di oggetti dal possesso, ma anche dalla natura stessa - riprende Giuseppe Maiolo —. Ci sono sentimenti connaturati nell'uomo, come la gelosia (il desiderio di essere unici) e l'invidia (la sensazione di essere inferiori a un altro) che generano scontri titanici. In entrambi i casi i genitori devono comprendere che questi sentimenti esistono, che esiste una corrente sotterranea di sentimenti ambivalenti e negativi, ma che devono essere vissuti, altrimenti producono tensione all'interno del rapporto fraterno».
Cosa deve seminare il genitore in una giornata di calma? «Direi che non bisogna fare niente, ma "essere" genitore — sostiene Maiolo —: modello di riferimento. I figli vanno aiutati a capire cosa significa essere fratelli, cioè devono imparare a conoscersi e volersi bene perché non è scontato che ciò avvenga. Il genitore deve favorire questo processo di crescita dell'affettività, pena l'indifferenza tra fratelli». «Quando il genitore non ne può più deve anche poter dire basta, sono stufo, mi avete scocciato - riprende -, comunicando rabbia, frustrazione, delusione, ma senza mai venir meno alle proprie responsabilità, senza scappare, accendere la tv, disinteressarsi. Spesso, invece, anche a causa del poco tempo che passiamo a casa con i nostri figli, tentiamo di mettere la sordina ai conflitti, guardando da un'altra parte, ma così non è utile a nessuno. Altra condizione: occorre applicare delle regole. Poche ma chiare, troppe generano solo confusione. E poi prevedere anche le sanzioni, fin da piccoli. Non avete idea di quanti adolescenti si sentano disorientati e mi dicono: "Vorrei tanto che i miei mi spiegassero cosa devo o non devo fare" anche se dopo trasgrediranno. Così il legame fraterno: è un'esperienza troppo preziosa e va utilizzata perché i bambini imparino a gestire anche lo scontro più acceso e infuocato e scoprano così che si possono avere idee e posizioni diverse ma che è necessario trovare un punto di accordo e di incontro. A patto che ci siano i genitori pronti ad arginarli e a stabilire i confini.
di Paola Abiuso
Riproduzione da Noi Genitori & Figli
Fratelli-coltelli: quando la rivalità entra in casa. Primo: lasciarli litigare Secondo: mai fare confronti.
Fratelli che si contendono all'arma bianca un pezzo di Lego. Che si scazzottano se uno riceve un centimetro quadrato di torta in più dell'altro. Che esplodono in pianti inconsolabili quando la mamma allatta l'ultimo nato. Insomma: bambini gelosi. E se gli esperti di psicologia infantile concordano nel ritenere la gelosia un sentimento naturale, da affrontare e non da reprimere, molti genitori ne fanno una malattia. La vivono come uno spauracchio, così angosciante da indurli a rinunciare, talvolta, ad avere un secondo figlio. «Non voglio un altro bambino, ho paura di far soffrire il mio primogenito». «Temo di togliergli qualcosa», dicono. Ci sono coppie terrorizzate dalla rivalità tra fratelli, dai litigi a ripetizione che ne conseguono e dal clima teso in casa.
«Nella mia carriera ho ricevuto decine di lettere di questo tipo — spiega Nessia Laniado, ex direttrice di "Insieme" e "Donna e mamma" —. E in molte si difendeva la scelta del figlio unico a causa di esperienze negative di forti rivalità tra fratelli vissute nell'infanzia». Nessia Laniado ha scritto un libro dal titolo "Bambini gelosi" (Edizioni Red), per spiegare ai genitori "come risolvere le rivalità tra fratelli senza fare preferenze".
Intanto, per sgombrare il campo da equivoci, l'autrice sostiene che i litigi tra fratelli fanno bene. Rendono il bambino più tenace, aiutano 'a sviluppare le capacità linguistiche (a forza di insultarsi e spiegare le proprie ragioni...), insegnano a difendersi e a farsi valere e accrescono l'arte del compromesso. È necessario però che i genitori non facciano mai confronti: in questo caso la gelosia può scatenare insicurezza, frustrazione, così come il fantasma del fratello "bravo" può demoralizzare e indurre alla rinuncia e alla rassegnazione.
Ma se baruffare e confrontarsi tra fratelli fa bene, perché i genitori ne sono così impauriti? Perché costringono i loro figli a "fare la pace", ad "andare d'accordo", a condividere i giochi? «Perché si sentono responsabili — risponde Nessia Laniado —. Pensano di non essere riusciti a insegnare ai figli l'amore e la condivisione. E si sentono in dovere di intervenire, mentre invece dovrebbero lasciar fare, almeno finché non ci sono pericoli. Litigare è un laboratorio di vita. Il mio consiglio è di permettere ai bambini di baruffare, in modo che possano imparare a esprimere il proprio risentimento. Naturalmente insegnando loro un metodo, cioè dando gli strumenti per trovare una via d'uscita». Se i bambini si tengono tutto dentro, l'astio nei confronti di un fratello, magari considerato privilegiato dalla mamma o dal papà, coverà dentro, per riesplodere ancora più violento avanti negli anni, ad esempio in occasione di un'eredità.
Per non favorire la gelosia, suggerisce Nessia Laniado, non bisogna fare paragoni tra i figli: mai ripetere che uno è "l'ordinato", l'altro "il distratto", l'uno "il metodico", l'altro "il creativo". Le etichette non si staccano e a lungo andare qualsiasi ruolo fisso genera conflitti e rancori difficili da superare. E poi bisogna smettere di inseguire il miraggio dell’imparzialità, della uguaglianza matematica nel rapporto con i propri bambini, difficilmente raggiungibile e talvolta anche ingiusta. «I figli — spiega la Laniado — non devono essere trattati tutti allo stesso modo, ma ciascuno secondo il suo bisogno». Il suggerimento è quello di porre regole e contemporaneamente osservare comportamenti diversi a seconda dell'età e delle diverse esigenze di ciascun figlio, in modo da creare con ogni bambino un rapporto personalizzato. «Ciascuno — conclude — deve sentire di essere per la mamma e per il papà un figlio unico». La miglior garanzia perché la gelosia stia fuori dalla porta di casa.
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