Aiuto Famiglia  - Noi, genitori & figli


I "figli del divorzio" allo specchio


 


Che matrimonio creano o desiderano coloro che hanno vissuto la separazione dei genitori? Quale affettività esprimono gli adolescenti che hanno visto padre e madre prendere strade diverse? Le testimonianze di esperti, insegnanti e giovani


di Leonardo Servadio

 

Riproduzione  parziale dal n. 97 di "Noi, genitori & figli" del 28/05/06


 


Cosa provano i figli delle coppie divorziate di fronte alla prospettiva di formare una loro famiglia? A 35 anni dall'approvazione della legge sul divorzio, è giunto il momento di porsi il quesito, anche se l'argomento non sembra sia stato sistematicamente sviscerato in sede di ricerca scientifica. Tuttavia chi si è interessato dei destini dei "figli del divorzio" lo ha inevitabilmente incontrato: nell'infinita variabilità dei comportamenti di ogni singola persona e nelle sue due facce estreme: c'è chi in vario modo è restio a sposarsi per non incorrere nel rischio di ripetere il percorso doloroso dei genitori, chi invece affronta il proprio matrimonio con un rafforzato senso di responsabilità, magari idealizzandolo. Il libro "Quando i genitori si dividono", di Silvia Vegetti Finzi, raccoglie centinaia di testimonianze spontanee di giovani e non che, raccontando le proprie storie, toccano anche questo tema. Magda, cresciuta da sola con la mamma, idealizza il matrimonio, lo desidera ma non riesce a raggiungerlo e conclude «forse non mi resta che fare la ragazza madre...», come trascinata a ripercorrere la stessa strada già percorsa dalla sua mamma. O Abril, fidanzata da sei anni ma esitante: «Non sono tranquilla sul nostro futuro... per l'esperienza dei miei genitori». O Fulvia che dice: ho preferito restare sola, per paura di ripetere gli errori «delle donne della mia famiglia... anche se la mia è stata una scelta inconscia...». O una donna che, firmandosi "Nuvoletta", spiega come, per evitare l'esperienza dello scontro che aveva messo fine al matrimonio dei suoi, si sia prefissa di divorziare pacificamente, qualora avesse dovuto. E con orgoglio conclude: «Ci sono riuscita». Sposata e divorziata, ma senza scontri: Nuvoletta si è sentita indotta a ripetere l'iter della sua famiglia di origine, ma è sicura di averlo fatto meglio.


Non mancano però gli esempi di chi, al contrario, nel proprio matrimonio ha trovato una desiderata stabilità. Cinzia scrive: «Ho sposato il mio "principe azzurro", ho una magnifica bambina e un secondo "pirulino" in arrivo... bisogna sempre credere in un mondo migliore, lottare per costruirselo... abbiamo l'obbligo morale di riscattarci per dare a questa vita un volto più umano, più dignitoso, più nuovo». Il senso del riscatto è diffuso in chi ha sofferto e non vuole che i suoi figli patiscano allo stesso modo. Così Lisa scrive: «Non mi sento diversa da chi i genitori li ha intorno da sempre. Non mi sento portatrice di quell'etichetta che spesso viene appioppata ai figli di divorziati, categoria che viene considerata incapace d'instaurare rapporti veri con le persone».


Il fatto che i "figli del divorzio" parlino tanto di sofferenza, di angustia da evitare ai propri figli, dovrebbe sollevare anche un'altra questione: se il divorzio, oltre che possibile da 35 anni, sia anche "utile". È questa la domanda cui ha tentato di rispondere uno studio pubblicato negli Stati Uniti da Elizabeth Marquardt ("Between two worlds: the inner lives of children of divorce" - "Tra due mondi: la vita inferiore dei figli del divorzio" - Crown Publishers). Mossa dalla sua esperienza di bambina che ha sofferto il divorzio dei genitori, la Marquadt, oggi trentacinquenne dedita allo studio sociologico, ha condotto un'inchiesta su 1.500 giovani figli di coppie divorziate, per capire quali fossero le conseguenze del comportamento dei genitori. La sua conclusione: «A volte il divorzio può essere necessario, ma non è mai buono».


Solo un terzo delle rotture matrimoniali che avvengono negli States mettono fine a convivenze dove lo scontro è diventato troppo violento per essere accettabile: nella maggioranza dei casi le separazioni si consumano in modo più o meno amichevole, tra coppie che potrebbero scegliere di lottare per recuperare il senso di un'unione e per evitare ai figli il trauma della scissione. Perché mantenendo il matrimonio, i conflitti si possono risolvere; chiudendolo si cristallizzano. «Dopo il divorzio i nostri genitori possono aver cessato di litigare, ma il conflitto tra i loro due mondi è continuato. Invece di essere visibile è migrato dentro di noi», così l'autrice descrive la lacerazione interiore dei figli. E anche quando hanno seguito una traiettoria di vita normale, questo "io diviso" tra due diversi sistemi di valori - mamma da un lato, papa dall'altro, incapaci di riconciliarsi - ha continuato a essere causa di sofferenza. Per tutta la vita.

 

Insomma, la Marquardt pone in questione l'eccesso di facilità nel divorziare, anche quando i contrasti rendono difficoltosa la navigazione nel mare della vita. Perché per i figli è comunque meglio che papa e mamma litighino, ma sappiano riconciliarsi. Altrimenti che succede? «La loro vita affettiva ne risente, così come spesso anche il rendimento scolastico», dice Marilena, insegnante di una media superiore nel centro Italia. Nello stesso modo rispondono altre insegnanti, tutte con esperienze piuttosto simili: «Ormai i figli di coppie divorziate sono tanti, quasi quanto quelli di coppie sposate. Ma spesso quando si hanno casi gravi di difficoltà a studiare, svogliatezza, stravaganza, si scopre che dietro c'è una storia familiare difficile. Nei figli di divorziati trovo spesso un fondo di tristezza, di incapacità a divertirsi come fanno i loro coetanei... », spiega Caterina, docente in un istituto milanese. «A volte lo nascondono. Mi è capitata un'alunna che un giorno è scoppiata a piangere in classe: ho saputo solo dai compagni che i suoi erano divorziati, e proprio quel giorno il padre celebrava le seconde nozze: col pianto ha voluto condividere il suo dolore...». E forse la rabbia, perché spesso c'è anche questa. I figli di divorziati si sentono spinti a crescere più in fretta degli altri: a diventare loro i responsabili della famiglia, facendosi carico di sostenere psicologicamente - a volte anche materialmente - il genitore con cui rimangono.

Questo è successo a Sara: aveva 16 anni quando i suoi si separarono. Prima è dovuta andare a lavorare la madre, poi lei; e c'era da sostenere anche il fratellino. «Era piccolo al momento del divorzio - spiega - e per lui è stata più dura che per me». Infatti se sono piccoli «i figli tendono a vedere i due genitori come un'unità», come sostiene Ernesto Emanuele, responsabile dell'associazione Famiglie separate cristiane, così la separazione risulta qualcosa di inconcepibile e incomprensibile. «Comunque io desidero sposarmi - riferisce ancora Sara -ma lo farò solo quando sarò sicura di aver trovato l'uomo giusto, che non mi tradirà». Per non risollevare quel dolore e non far ricadere sugli eventuali figli la stessa sofferenza.


(...)


Professoressa Silvia Vegetti Finzi, nel suo libro "Quando i genitori si dividono" descrive due comportamenti opposti dei figli di divorziati al momento di formare una famiglia propria...

 

La differenza è segnata dalla capacità di comprendere e affrontare il dolore della separazione dei genitori. Chi con coraggio ammette quel dolore e si impegna a comprenderlo, può superarlo e in questo tempra la capacità di costituire una propria famiglia. Chi sfugge al dolore non acquisisce questa capacità. Purtroppo vedo molti casi di persone che divorziando negano il dolore, come se la separazione fosse una cosa normale, e cercano di ovattare il dramma per sé e per i figli. In questi casi è più facile che si presenti quel che si chiama "coazione a ripetere". Per superare il dolore è necessario affrontarlo.

 

E il dolore è inevitabile?

Sì. Il divorzio provoca una dissoluzione interna. La geometria della mente deve ricostituirsi. Nessuno ce la può fare da solo. Ci vogliono aiuti esterni: sacerdoti, insegnanti, allenatori, anche coetanei con cui parlare e confrontarsi, scambiare esperienze. Ma da soli e senza affrontare il dolore, non si cresce.