Sembrare grandi con i selfie estremi

Riproduzione  parziale dal n. 221 di "Noi, famiglia & vita" del 17/09/2017
 
di Benedetta Verrini

Ragazzi che salgono in cima ai grattacieli o aprono le porte dei treni in corsa, rischiando la morte, per far girare le immagini sui social. Ma che senso ha?

L’ultimo in ordine di tempo è stato il 'selfie del treno', denunciato a fine giugno da una lettera di Trenord: adolescenti che si procurano la chiave quadrata (la trovano in ferramenta) per aprire le porte del treno e si sporgono all’esterno in piena corsa per una foto o un filmato di quelli 'leggendari', da condividere sui social.
Un rischio, quello che induce a comportamenti che possono sfiorare la morte per raccogliere 'like', stigmatizzato anche dal rapper Fabio Rovazzi, così amato dai giovanissimi, che si è espresso contro questa 'moda', in un servizio realizzato per la trasmissione 'Le Iene'. Eppure, la tentazione di essere immortalati in luoghi irraggiungibili, ad altezze vertiginose o mentre si compiono evoluzioni da sport estremo resta: a fine giugno l’allerta è scattata a Desio, dove quattro ragazzini tra i 14 e i 16 anni si sono arrampicati a 90 metri di altezza per scattarsi una foto in cima alla torre incompiuta della fabbrica ex Autobianchi.
Gesti irresponsabili che non fanno sconti: le morti, nel mondo (compreso il nostro Paese) sono state oltre 150 dall’inizio dell’anno. E la domanda ricorrente dei genitori è: perché?
«Non è nemmeno necessario comprovare la diffusione del fenomeno, che è reale e va presa in grande considerazione », riflette Filippo Mittino, psicologo, psicoterapeuta, socio dell’Istituto Minotauro di Milano, impegnato in progetti di sostegno allo sviluppo emotivo relazionale nelle scuole. «I ragazzi di oggi non vivono più nessun 'rito di passaggio': le generazioni precedenti avevano tanti eventi simbolici che ne certificavano la crescita, come l’acquisto del motorino, la possibilità di fare più tardi la sera. Oggi non c’è alcun riconoscimento della crescita, perché i bambini sono già in qualche modo ' adultizzati', sono liberi ed autonomi fin da piccoli. Che cosa può farli sentire ' grandi', allora? La tecnologia, che offre loro una sorta di ' memoria digitale del corpo', li aiuta attraverso la condivisione (e la testimonianza visiva) di esperienze estreme » .
Prove di 'coraggio' che possono costare la vita e che in qualche modo vengono suggerite e supportate da tante icone social, anche nel mondo dello spettacolo e delle modelle, che si mostrano in cima a grattacieli, in bilico su ponti, in assurde posizioni sui limiti dell’abisso. «Certo, quelle immagini pesano e in qualche modo sdoganano la pratica», prosegue lo psicologo. «Ma non sempre gli adolescenti intendono copiare i loro idoli. Per molti il selfie estremo è e deve restare una cosa esclusiva, che appartiene solo a loro. Mi confessava un ragazzo di essere salito in cima al muro di un supermercato, con grande fatica e non senza rischi. Poi, una volta seduto lassù, ha attirato l’attenzione di un gruppo di ragazzi: 'Ma io non sono sceso', mi ha spiegato, 'altrimenti avrebbero visto come facevo, dove mettevo i piedi, e invece volevo che fosse una cosa solo mia'». Possibile, viene da chiedersi, che non abbiano una piena consapevolezza della morte? «Ce l’hanno, forse è proprio questo il problema», risponde Mittino. «In passato la morte era solo un piccolo pezzo di molti altri elementi legati alla crescita, oggi invece, morte e sessualità sono due aspetti dominanti nella vita dei giovani e anche molto sperimentati. I ragazzi che, ad esempio, tentano il suicidio. Lo fanno o per un bisogno di conoscere effettivamente cosa sia la morte, oppure la vivono come ' soluzione' alla vergogna del proprio corpo, del proprio adolescenziale 'farsi schifo' » .
Seguirli in questa delicata e tormentata fase è diventato sempre più difficile: «Nessuno ragiona più con loro sul tema del 'diventare grandi'», sottolinea Mittino. «Se glielo domandi, ti guardano stralunati, come se non ne avessero alcuna idea. Bisogna riportare il tema della crescita in famiglia, in oratorio, in squadra, soprattutto a scuola, che oggi resta l’ultimo baluardo in cui è possibile portare la discussione e attivare una relazione di accompagnamento. Noi avevamo sempre qualcuno che ci stava dietro su questo, che fosse il prof o l’allenatore o il prete dell’oratorio. Oggi molti ragazzi fragili non trovano nessun adulto disposto ad affrontare la questione».
Sono molto cambiati i valori di fondo, ricorda l’esperto. «In famiglia poteva esserci poco dialogo ma c’era comunque un tessuto di libri, di canzoni, di esperienze familiari che costituiva già una base, una 'patrimonio culturale' che dava gli strumenti per affrontare la vita. Oggi la preoccupazione di molti genitori, riguardo alla crescita, è quella di contrastare la noia dei ragazzi con molte attività; di favorire il loro divertimento; di dotarli dei giochi più belli; di fare molte attività in un’ottica di performance, di primato agonistico. Ma tutte queste cose non hanno nulla a che vedere con il diventare grandi. E così, questo straordinario momento di passaggio viene percorso attraverso esperienze estreme, reso virale dai social, che ne 'certificano' la validità e l’esistenza». La strada da percorrere è tanta: «Ricominciamo a porci il tema della crescita come questione educativa centrale», conclude Mittino. «Restiamo in posizione di ascolto, interessiamoci delle loro passioni, combattiamo la loro fragilità con la certezza della nostra presenza».

 

 

Già a 10 anni è lʼesperienza più condivisa sui social

Non solo selfie estremi: lʼautoscatto digitale, in tutte le pose possibili, appare lʼesperienza più condivisa tra i ragazzi sui social network. Una pratica che, anche quando non porta a gesti pericolosi o autodistruttivi, appare comunque ossessiva e orientata al culto dellʼimmagine: una ricerca pubblicata dalla Bbc in occasione del Safer Internet Day 2017 ha rivelato che nel Regno Unito oltre la metà dei giovanissimi (10-12 anni) ha già postato selfie sui social network (soprattutto Instagram, Snapchat, Tumblr). Non si tratta di unʼesperienza neutra: il 56% degli undicenni, ad esempio, ritiene 'abbastanza importante' apparire bene nellʼimmagine, al punto che circa il 20% degli intervistati fa almeno 4 scatti prima di pubblicare quello ritenuto migliore (e un 14% arriva a dieci scatti). I genitori non sono immuni dalla pratica: il 71% dei ragazzini di dieci anni ammette che alcune proprie immagini sono già state pubblicate, almeno una volta, da mamma e papà. Alla domanda su come questo li abbia fatti sentire, il campione si è spaccato: il 36% ha risposto 'felice', il 30% 'imbarazzato', un altro 30% 'non mi interessa'. In ogni caso, quando lʼimmagine viene postata da altri, cʼè un 30% di ragazzi che si sente 'infelice'. Il motivo? «Perché non ero venuto bene», è il disappunto principale nel 71% dei casi.