NESSUNA MORTE E’ PER SEMPRE

Portiamo i figli con noi nei cimiteri, il 2 novembre, sciogliamone l’aura di freddo e paura: la Commemorazione dei defunti sia il giorno della memoria.


Riproduzione dell'editoriale di "Noi, genitori & figli" del 25/10/09


di Marina Corradi

 

NeI giorno dei morti di molti anni fa. Una giornata di sole ancora tiepida al Cimitero Monumentale, a Milano. Ero andata a portare dei fiori sulla tomba di mia sorella. Con quella stretta al cuore, lo confesso, che mi prendeva nelle gallerie del Monumentale, nella penombra in cui si allineano migliaia di loculi. Col tacito pensiero, come una viscerale ribellione: niente, di ciò che era mia sorella, può essere sotto a queste pietre. Però per la prima volta portavo con me, per quelle scale, mio figlio di tre anni. Un mazzo di rose in una mano, e nell’altra la sua mano di bambino, che mi confortava.
Uscendo, per i viali del Monumentale maestosi di monumenti funerari e tombe di nobili famiglie, mio figlio correva qui e là, si guardava attorno curioso, ritornava da me. Mai aveva visto un cimitero. Chi sono, mi chiese, quei signori nelle foto? “Sono – risposi – persone vissute tanto tempo fa, come i nonni dei tuoi nonni. Ora, qui sotto, dormono”. (Era così piccolo, che non avevo il coraggio di parlargli della morte. Anche per via di quel mio tacito dubbio, o ribellione: cosa c’è, sotto a queste pietre, di mia sorella?). Mio figlio continuò a correre fra le aiuole e le croci, andando e tornando da me. Poi, come colto da un improvviso pensiero, si fermò e mi chiese: “Ma, se dormono, quando si svegliano?”. Come fosse ovvio, per un bambino, che nessun sonno è per sempre. Come fosse chiaro che tutti quei signori addormentati lì sotto non sarebbero rimasti eternamente in quel buio. Presi in braccio mio figlio, me lo strinsi addosso: grata, perché in quel giorno dei morti mi aveva spiegato lui, coi suoi tre anni, che nessuna morte è per sempre.
Certo, tanti non hanno bisogno di questa memoria. Sanno già. Hanno avuto nonni e padri e madri che senza parole, come in una quotidiana consuetudine, hanno insegnato loro a non aver paura della apparenza della morte che ci si para davanti nei cimiteri. A non fermarsi raggelati da quelle lapidi, da quel silenzio. Ci sono ancora nonni e padri e madri che quasi ogni domenica passano a portare un fiore sulla tomba di famiglia; così come si va a trovare i parenti, alla domenica si va dai propri morti. Qualcuno anzi davanti a quelle tombe parla fra sé con quelli che ama. In un dialogo semplice che la morte non ha spezzato; nella certezza che c’è un destino buono che ci attende, dopo.
Davanti ai cancelli dei cimiteri, in questi giorni, c’è tanta gente. Una processione, un pellegrinaggio. E’ forte ancora in Italia l’affezione ai propri morti. Mi chiedo però quanto passi, di questa affezione, ai figli. Perché c’è un abisso fra le feste di Halloween che usano fra i ragazzi oggi, e quel culto cristiano dei morti. Due sguardi agli antipodi: la morte pagana, tenebre affollate di spaventevoli spettri, e quella cristiana: nel dolore, la certezza della resurrezione in Cristo.
Portiamoli con noi i figli, il due di novembre, sciogliamo l’aura di freddo e di paura che si associa istintivamente ai cimiteri, in questa antica certezza ereditata: nessuna morte è per sempre. L’oltretomba non è abisso senza ritorno, luogo di fantasmi e di nulla, da esorcizzare in un carnevale falsamente allegro. (Le fondamenta della nostra fede: se Cristo non fosse risorto dai morti, dice san Paolo, noi cristiani saremmo i più infelici fra gli uomini).
Che il due di novembre sia un giorno di memoria ereditata e trasmessa. Dai padri ai figli. Se non magari, in un amoroso rovesciamento, come in quello scambio con mio figlio bambino, al Monumentale, tanti anni fa: “Mamma, dormono? E quando si svegliano?”.