SCELTE D’ACCOGLIENZA CHE ARRIVANO DA LONTANO

L’invito ad «accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito» e quello a «cogliere elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze» - come si legge nella Relazione finale - non nascono per caso, ma sono lo sbocco logico di un percorso che la Chiesa ha avviato da tempo. Per ricostruire la cultura del “per sempre”.

 

Riproduzione dell'editoriale di "Noi, genitori & figli" del 30/11/14
 
di Luciano Moia
La sfida più grande? Trovare una modalità nuova, più efficace, più rispondente alle attese di tante famiglie, per conciliare misericordia e verità». L’hanno ripetuto in tanti, anche tra i padri sinodali, alla vigilia della grande assemblea straordinaria. Ora, il lungo intervallo di questa appassionata e concreta ricerca sulla famiglia, ci offre l’opportunità per riflettere sullo svolgimento del “primo tempo” e per cercare di cogliere nelle tante azioni importanti di un incontro comunque affascinante, le novità più rilevanti anche in vista della “ripresa” fissata per l’ottobre 2015. La sintesi più efficace è stata già offerta dal Papa la sera stessa della conclusione del dibattito, il 18 ottobre scorso, quando rallegrandosi per lo «spirito di collegialità e di sinodalità», non ha comunque evitato di sottolineare anche i «momenti di desolazione, di tensione». E ha poi elencato cinque tentazioni da cui guardarsi (è uno dei passaggi che mettiamo in luce a pagina 10), ribadendo che la Chiesa, «Madre fertile e Maestra premurosa non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini». Che valutazioni trarne a proposito della famiglia e del matrimonio? Le verità fondamentali rimangono quelle di sempre e da qui non ci si muove. Anche perché non sarebbe possibile. Indissolubilità, unità, fedeltà, apertura alla vita, prima di essere punti fermi della dottrina, sono capisaldi antropologici. Stanno alle radici di quel diritto naturale iscritto nel cuore di tutti coloro che, anche senza saper nulla di teologia e di pastorale, sentono la responsabilità dell’amore e decidono che il loro futuro sarà per sempre con quell’uomo-marito o con quella donna-moglie. L’indissolubilità - così come il dovere della fedeltà e la speranza della fecondità - non è un giogo né una condanna imposta da un giudice crudele, ma un portato naturale di una visione umana e di parola evangelica che fondano la famiglia su una scelta d’amore davvero autentica, piena, spontanea, vissuto nel rispetto e nella dignità dell’altro/a. E che, per essere davvero tale, non sopporta soluzioni programmaticamente a tempo determinato, non ammette desistenze, non prevede iniziative “parallele”. La dottrina cattolica del matrimonio non fa altro che “certificare” tutto ciò e non può esprimersi diversamente proprio perché profondamente connessa al sentire primordiale di una grammatica d’umanità che ha ancora dentro di sé il sapore della creazione.
Poi, se e quando le vicende della vita si complicano, può capitare che anche i migliori progetti finiscano per essere disgregati da vicende, situazioni, incontri, realtà imprevedibili. Ma può anche capitare che esistano speranze fondate sulle migliori premesse che non riescano a concretizzarsi. E non per opposizione pregiudiziale al matrimonio, ma per problemi legati alle mille difficoltà pratiche (lavoro, casa, distanze, influenze culturali) che oggi rendono obiettivamente più difficile mettere da parte le paure del “per sempre”. Riconoscendo queste situazioni, il Sinodo ha espresso con chiarezza orizzonti che rappresentano un’attualizzazione di posizioni andate consolidandosi dal Vaticano II a oggi. La necessità di «accompagnare i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito» e di farlo «con pazienza e delicatezza» risponde a un criterio già indicato da papa Wojtyla 23 anni fa nella Familiaris consortio e poi ribadito da papa Ratzinger in varie occasioni e poi, in modo più circostanziato, all’Incontro mondiale delle famiglie a Milano, nel 2012. In questa prospettiva l’esigenza di approfondire ulteriormente, in questi mesi che ci separano dal Sinodo del 2015, sia la questione dell’Eucarestia ai divorziati risposati, sia il dibattito sulla comunione spirituale, risponde a quei criteri di saggezza, gradualità e misura che preparano ogni autentico punto di svolta. Allo stesso modo le considerazioni emerse a proposito delle convivenze si inseriscono - almeno nella Chiesa italiana (ne parliamo a pagina 22) - in un percorso già delineato. Affermare, come si fa al numero 41 della Relazione finale che «una sensibilità muova della pastorale odierna consiste nel cogliere elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze», non significa aprire varchi progressisti o rivoluzionari, ma dare compimento a una riflessione già tracciata sia nella ricerca sulle convivenze portata a termine da Cei e Cisf nel 2009-2010, sia negli Orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio pubblicati lo scorso anno. Anche in questi testi, seppure in modo più mediato, si faceva notare quanto sia importante sottolineare la bontà intrinseca di un «già e non ancora» legata a una scelta di stabilità che parla comunque di responsabilità e di volontà progettuale in contrasto con la cultura dell’individualismo e del disimpegno. Perché quel cammino, comunque da perfezionare e da arricchire con la grazia del sacramento, «può essere affrontato – spiega la Relazione finale - in maniera costruttiva, cercando di trasformarlo in pienezza verso il matrimonio». Tra la condanna moralistica di un’incompiutezza e la promozione antropologica di un orientamento al bene nella condivisione di coppia, i padri sinodali hanno scelto di valorizzare un progetto d’amore comunque fondato sull’alterità fertile tra uomo e donna. Forse il punto d’equilibrio tra verità e misericordia ha proprio il tratto lieve della tenerezza che accoglie, comprende e spera. E fa camminare nella giusta direzione.