MEDIAZIONE FAMILIARE

Per ricominciare a parlarsi

 Riproduzione  parziale dal n. 108 di "Noi, genitori & figli" del 27/05/07


di Maria Nava


 


Francesca e Sergio, separati e arrabbiati: così abbiamo ritrovato il dialogo. Per amore dei nostri figli.

 

 A causa di incomprensioni ed errori, talvolta due persone arrivano ad abbandonare la lotta per cercare di mantenere vivo l'amore che li lega; il risentimento verso il coniuge si trasforma in rassegnazione, indifferenza, senso di solitudine. Poi arriva la cocente delusione dell'ammettere che il proprio matrimonio è stato uno sbaglio che sarebbe stato meglio non commettere. Protagonisti passivi di quella che sta diventando una situazione sempre più comune fra le famiglie italiane sono i figli, condannati talvolta a crescere in un clima di ostilità, oppure "orfani" di un padre lontano.

Anche Sergio e Francesca, professionisti milanesi, hanno vissuto sulla loro pelle questa esperienza: «Quattro anni fa, in un periodo di lavoro particolarmente impegnativo per entrambi, abbiamo iniziato a dedicare sempre meno tempo a parlare - racconta Francesca, che si occupa di formazione del personale in un'azienda farmaceutica -. A causa della stanchezza e dei ritmi accelerati rimandavamo continuamente il confronto su decisioni che riguardavano la nostra famiglia. Ciascuno decideva per conto suo, salvo poi essere disapprovato dall'altro». Spesso era Francesca a non coinvolgere Sergio, accusandolo poi di non essere abbastanza partecipe della vita di coppia: «L'atteggiamento di Francesca mi irritava - ammette Sergio, di professione medico - e, nel profondo, provocava in me un senso di frustrazione ed estraneità verso tutto ciò che riguardava la vita matrimoniale, che sentivo sempre più come un peso da subire. Questo mi portava a ritagliare spazi solo per me, in cui coltivare i miei interessi, le mie amicizie, senza coinvolgere mia moglie».


«A posteriori, non nascondo - riprende Francesca - di aver volutamente escluso Sergio da alcune questioni relative ai nostri due figli di 9 e 14 anni, per fargli pesare ancora di più il fatto di avere poco tempo per noi. Poter esercitare autonomamente il ruolo di genitore era un modo per confermare il mio valore all'interno della famiglia, che poteva andare avanti senza Sergio, anche se percepivo che i ragazzi soffrivano molto, soprattutto perché quando ci vedevano insieme non facevamo altro che accusarci a vicenda».


«Così dopo 19 anni di matrimonio — racconta Sergio - avevamo deciso di separarci. Almeno su un punto concordavamo: non aveva più alcun senso andare avanti. La decisione è stata lacerante, perché la vivevo come una dichiarazione di fallimento». Quando Sergio e Francesca vivevano già in due appartamenti diversi, in attesa di recarsi da un avvocato per separarsi giudizialmente, un'amica ha parlato loro della possibilità di intraprendere un percorso di mediazione familiare: «Un'amica di famiglia, psicologa che si occupa anche di mediazione familiare - spiega Francesca - mi ha consigliato di ricorrere a questo strumento, di cui fino a quel momento avevo sentito parlare in termini abbastanza vaghi. L'idea che noi due avremmo dovuto restare una coppia di genitori mi ha incoraggiato a provare, pensando al bene dei nostri figli, che vedevo duramente provati dal trasferimento del papa in un altro appartamento». L'amica, avendo osservato la reazione positiva di Francesca, ne parla anche a Sergio: «Avrei fatto qualunque cosa per riuscire a mantenere un rapporto significativo con i ragazzi, che mi mancavano tantissimo. In più, il fatto di sapere che Francesca aveva accolto favorevolmente la proposta mi incoraggiava. Dopo averci pensato a lungo ha telefonato a Francesca per proporle di prendere un appuntamento presso un centro di mediazione di Milano». Da quel primo appuntamento, il percorso di mediazione è andato avanti con dieci incontri, per circa un anno, alla presenza di due mediatori. Alla fine marito e moglie sono stati in grado di stendere un accordo sugli aspetti maggiormente conflittuali del loro rapporto. Un tempo piuttosto lungo, ma che può giocare a favore di una maggiore consapevolezza della scelta - la separazione - che si sta per compiere: «L'anno in cui è durata la mediazione - ammette Sergio - ci è servito per mettere a fuoco le responsabilità che abbiamo verso i nostri figli. Da lì, almeno per me, è partita una riflessione personale sui miei comportamenti. La mediazione è stata un'esperienza positiva; io e Francesca abbiamo iniziato con l'idea di trovare una strada per gestire la separazione in modo civile ma in realtà più che a dividerci ci ha aiutato a unirci. A ogni incontro ciò che ci stava accadendo ci sembrava più chiaro e più gestibile». Anche i figli hanno beneficiato della mediazione: «Ora ci vedono più sereni, più presenti - osserva Francesca -. Sanno che le decisioni che li riguardano vengono prese da noi due insieme e in accordo. Gli incontri ci hanno aiutato a trovare un'intesa su molti aspetti pratici, ma anche a ritagliarci degli spazi: adesso capita che Sergio e io ci prendiamo tempo per stare soli, per parlare con calma, per confrontarci su decisioni da prendere, per definire meglio alcuni aspetti pratici, magari anche uscendo insieme a cena: prima sarebbe stato improponibile. Tutto ciò ci aiuta a essere egualmente partecipi della vita dei nostri figli e a far loro capire che entrambi saremo sempre presenti». La comunicazione, stimolata e facilitata dal mediatore, ha indotto marito e moglie a scoprire di avere ancora molte cose in comune. I problemi non sono svaniti ma la scelta compiuta ha reso Sergio e Francesca persone più consapevoli e mature e ha aperto un varco di speranza nel conflitto. ♦


 


«Aiutiamo gli "ex" a restare genitori»


L'esperta Costanza Marzotto: con la mediazione non ci sono più vincitori e vinti, ma impegni condivisi.


La recente normativa in materia di separazione e affidamento condiviso dei figli, approvata con la legge 54 del 2006, introduce nel percorso della separazione una nuova figura professionale, quella del mediatore, con una competenza chiave per il raggiungimento dell'obiettivo centrale, ossia il diritto del minore di mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo parentale. Già dalla fine degli anni 80, la Società italiana di mediazione familiare, ente che promuove e coordina l'attività professionale del mediatore familiare in coerenza con gli standard europei, contribuiva a dare un forte impulso alla diffusione di tale servizio nel nostro Paese. Ne abbiamo parlato con Costanza Marzotto, fondatrice e vice presidente della Simef, oltre che docente di Teorie e tecniche della mediazione familiare e di Psicologia sociale della famiglia all'Università Cattolica di Milano.


 


Professoressa Marzotto, che cos'è la mediazione familiare?


Per mediazione familiare si intende quel percorso in vista o in seguito alla separazione o al divorzio, in cui un terzo "neutrale", cioè un professionista equidistante dalle parti, con una preparazione specifica, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dal­l'ambito giudiziario, favorisce la ricerca di soluzioni per la riorganizzazione delle relazioni familiari. E importante che la coppia, sebbene si sciolga da un punto di vista matrimoniale, resti coppia dal punto di vista genitoriale.


Come funziona, in prati­ca, questo strumento?


Solitamente il percorso di mediazione si compone di 8-9 incontri congiunti di un'ora e  mezza   circa,   a distanza quindicinale, in cui il mediatore, attraverso l'utilizzo di tecniche negoziali, si adopera affinchè i due genitori si impegnino per realizzare un programma di separazione soddisfacente per sé e per i figli e possano continuare nell'esercizio della comune responsabilità genitoriale. L'oggetto dell'intervento mediativo è molto ampio: può aiutare a regolamentare gli incontri con i figli, a definire le regole di comportamento con loro e le scelte specifiche concernenti la loro vita. Può riguardare la dimensione dell'assegno di mantenimento, le modalità di comunicazione della separazione, la suddivisione di beni comuni o semplicemente l'analisi dei motivi della separazione.


In che cosa si differenzia da una terapia psicologica di coppia?


 La mediazione non presuppone alcuna patologia, sebbene naturalmente le persone accusino una grandissima sofferenza legata alla separazione. Ha una connotazione prettamente pratica, che porta alla stesura di un accordo condiviso su singoli aspetti concreti della vita di coppia.


Quali sono i vantaggi?


La mediazione introduce una logica nuova, che invece di ricercare un vincente e un perdente favorisce il perseguimento di un guadagno comune per genitori e figli. In questo senso, si coglie molto bene anche la differenza con gli accordi presi nelle sedi giudiziarie e in cui spesso le persone, invece che essere protagonisti delle proprie scelte, le subiscono. In alcuni tribunali siamo riusciti a instaurare una buona collaborazione con magistrati sensibili alla mediazione, che consigliano alla coppia di utilizzare questo strumento per poi recepire gli accordi in sede giudiziaria. Tutto ciò è molto utile; tuttavia è importante che le persone siano in prima persona convinte di voler intraprendere questo percorso in modo da sentirsi davvero protagonisti degli accordi presi. I.N.